inserito il 03/09/2007

Okkervil River
The Stage Names
[Jagjaguwar/Wide 2007]

Dopo il successo ottenuto nel 2005 con Black Sheep Boy (che ha avuto perfino la sua appendice, per l'appunto, in Black Sheep Boy Appendix) e un tour che ha toccato anche il nostro paese in due periodi diversi, Will Sheff e compagni sembra non siano appagati dalle crescenti attestazioni di stima riservate loro da pubblico (seppur circoscritto agli amanti della cosiddetta scena indie rock americana) e critica. Che questo sia il carburante che alimenta il motore degli Okkervil River? Visto il materiale assemblato per il nuovo The Stage Names, direi proprio di sì. Lo stile della band conserva tutte le componenti essenziali che hanno caratterizzato gli album scorsi. Il pop corposo e ricco di pathos, le grida "isteriche" e le storie di Sheff, l'impegnativo lavoro di Jonahthan Meiburg alle tastiere e di Scott Brackett alla tromba sono gli elementi trainanti di pezzi come A Hand To Take Hold Of The Scene, Our Life Is Not A Movie Or Maybe e Unless It's Kicks, nei quali emerge la chitarra elettrica di un Brian Cassidy forse più protagonista che in parentesi passate. Il tris d'assi iniziale la dice lunga sul prosieguo di The Stage Names. Questo percorso di nove pezzi continua infatti con alcuni marchi di fabbrica di Sheff, come Plues Ones, Title Track e A Girl In Port (ballate acustiche che prendono mano mano maggiore forma con l'inserimento di tastiere e chitarre elettiche), che musicalmente non dicono forse nulla di nuovo rispetto al passato della band, ma si fanno ampiamente apprezzare per l'emozione riversata nella loro interpretazione. I primi giri di You Can't Hold The Hand Of A Rock And Roll Man ricordano invece alcune cose dei Supergrass, trio inglese (fra garage e brit pop) in voga qualche anno fa. In seguito la canzone si arricchisce di coretti, archi, ottoni e clap hands, che la fanno tornare sui binari consoni agli Okkervil River. La chiusura di The Stage Names è affidata a John Allyn Smith Sails, forse la traccia più singolare. Qui lirica e melodia si intrecciano nel tentativo di dare il giusto spazio ai versi di Sheff; il ritmo dettato da basso e cassa, gli archi e gli arpeggi di chitarra…tutto perfetto. Dopo due minuti e mezzo l'imprevisto: la band paga tributo all'amato Brian Wilson tramutando John Allyn in una Sloop John B. dei Beach Boys mai così "sguaiata" e carica di strumenti e grida. Bellissima! Questo l'aspetto strettamente musicale. Va anche detto però che The Stage Names rimarca nuovamente le capacità di Will Sheff quale autore: le sue liriche struggenti ed emozionanti sono delle vere e proprie storie scritte in prosa, perfettamente musicabili. The Stage Names arriva a noi con l'inizio dell'autunno, giusto per concorrere a pieno titolo alle nomination di questo 2007.
(Carlo Lancini)

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