inserito 06/02/2008

American Music Club
The Golden Age
[
Cooking Vinyl   2008]



L' "età dell'oro" degli American Music Club dovrebbe essere definitivamente sepolta sotto la polvere di una carriera mai realmente decollata, sempre ad un passo dalla completa consacrazione, quella che avrebbe permesso alla band di Mark Eitzel di fare il salto dalla dimensione di culto alla ribalta del gotha rock. E invece il loro nome resta scolpito fra i segreti della grande rivoluzione "altenativa" a cavallo degli anni '90, condottieri di un rinnovamento folk rock che ha tracciato la via a molti discepoli. Certo, non si può dire non si siano tolti delle soddisfazioni, anche personali (si veda la ricca carriera solista dello stesso Eitzel), ma è fuori discussione che l'apprezzamento negli ambienti delle college radio e di una certa critica non abbiamo portato gli AMC ad occupare quelle posizioni di prima fila che ci si sarebbe attesi.

Facile intuirne le ragioni con il senno di poi: lo spleen esistenziale di Eitzel, le sue liriche profonde, confessionali, da cuore in mano e quella dimensione insistentemente malinconica, non rappresentano una ricetta adatta a tutte le sensibilità. Eppure l'idea di rispolverare questa avventura non resta confinata in una sortita estemporanea: se qualcuno pensava al come back di Love Songs For Patriots (2004) come ad una semplice operazione di nostalgia si è sbagliato di grosso, perché The Golden Age ne rincorre le orme a distanza, presentando una formazione rinnovata e soprattutto un suono mai così brillante. È il disco migliore dai tempi di Mercury, una sequenza soprendentemente luminosa e di una serenità quasi inedita (per quanto possano essere "serene" le ballate di Eitzel).

Prodotto da Dave Trumfio (Wilco, My Morning Jacket) ai King Size Studios di Los Angeles, The Golden Age riporta in superficie le chitarre essenziali di Vudi, meno appariscenti nell'episodio precedente, imbarcando Sean Hoffman al basso e Steve Didelot alla batteria, entrambi provenienti dall'esperienza The Larks, dando la sensazione di un lavoro di squadra, meno frammentario e più propenso ad adattarsi al songwriting di Eitzel. Il quale resta impagabile nel mettere a nudo la sua anima e quella dell'America tutta (The Windows of the World): quel canto amabile e terribilmente mesto potrà anche infastidire, ma ha fatto scuola. Come non credergli quando intona una sintomatica All The Lost Souls Welcome You To San Francisco, oppure decide di introdurci nel suo mondo ovattato con lo schizzo folk etereo di All My Love. Le sorprese di questo lavoro tuttavia arrivano dal già accennato timbro elettrico e raggiante di alcuni episodi: il crescendo di The Decibels And The Little Pills, semplicemente abbagliante, le lussuose The Stars e One Step Ahead, il pop ammiccante di Who Are You, la struggente marcetta per fisarmonica e fiati di I Know That's Not Really You, inframmezzate da quelle carezze elettro-acustiche che hanno fatto giustamente storia…e d'altronde basterebbero i tre dolcissimi minuti di The Dance per spazzare via tanti presunti maghi del pop moderno. Ci fosse solamente un mondo che girasse nel verso giusto.
(Fabio Cerbone)

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