inserito 14/03/2008

Black Crowes
Warpaint
[
Silver Arrow/ Goodfellas
  2008]



I Black Crowes sono sempre stati fuori posto: pare davvero un controsenso, ma nonostante i milioni di dischi venduti la band dei fratelli Robinson ha spesso navigato a vista, lottando con ostinazione per mantenere un senso preciso e antico del fare rock'n'roll. Nel 2001, all'atto del rompete le righe, erano apparsi irrimediabilmente stanchi, svuotati, una band su cui il grande business discografico non aveva più intenzione di scommettere. Così si sono presi il loro tempo: Chris Robinson ha gettato nella mischia persino due lavori solisti di cui almeno uno, This Magnificient Distance, degno di lode, mentre il fratello Rich ci ha provato di rimbalzo senza gli stessi risultati, ma era chiaro a tutti che la reunion dal vivo del 2005 potesse solamente condurre ad un riscatto.

Ecco dunque un nuovo disco, Warpaint, ed una nuova vita o chissà, fieri della propria indipendenza (il lavoro esce per la personale etichetta Silver Arrow), forse soltanto un vagito che si presterà ancora una volta ad essere classificato fuori moda: a sette anni di distanza da Lions, i Black Crowes di Warpaint sono di fatto un'altra band, o meglio sono tornati esattamente là dove finivano le note dense, profonde di Amorica e Three Snakes and One Charm. Alla corposità quasi astrale di quegli inni al Sud e alla sua tradizione si rifanno queste undici canzoni, che acquistano per strada le chitarre di Luther Dickinson e l'organo di Adam MacDougall, ma non perdono le intuizioni del passato.

Tanto mestiere in più certo, ma assai poca accademia, perché un singolo come Goodbye Daughters of The Revolution non lo infilavano da tempo immemore. È un disco che esce alla distanza Warpaint, colmo di suoni e sensazioni, di arrangiamenti (Paul Stacey affianca alla produzione) da primi della classe, ma anche di canzoni raramente così efficaci nel descrivere la storia della band. Non spuntano per caso infatti i mandolini e i tenui colori rootsy di Locust Street, ballata fra le migliori del loro repertorio, così come la strepitosa conclusione di Whoa Mule, fra ricami acustici, deep blues, coralità gospel e percussioni, che li avvicinano più che mai al lascito di Allman Brothers e Little Feat. Luther Dickinson ha senza dubbio portato freschezza e intelligenza strumentale: il suo dono si chiama dowhome blues, sporco come il fango del Mississippi che colpisce nel segno con lo strattone di Walk Believer Walk, stordisce nel rifacimento di God's Got It (Reverend Charlie Jackson), vero tumulto rock blues, sale al cielo nella coda strumentale di Movin' on Down The Line, orgia southern in cui grondano organi e chitarre.

Ci credono ancora i fratelli Robinson: non sono più giovani e innocenti, ma il loro afflato pacifista (una bandiera americana solcata dal simbolo della pace all'interno del booklet) prevede ballate con il cuore in mano e testi dall'impronta un po' hippie e un po' filosofica. Probabilmente avranno anche scritto Josephine in cinque minuti, eppure quest'ultima batte sincera montando una romantica onda country soul, mentre Evergreen e Wee Who See the Deep hanno sempre voglia di arrostire qualche valvola, nel solco di un hard blues di origine controllata. Se poi Chris Robinson mantiene l'ardire di cantare con questa passione, perdoneremo ai Black Crowes gli errori passati e futuri, basta assaporarli un'altra volta
(Fabio Cerbone)

www.blackcrowes.com


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