Alela
Diane
The
Pirate's Gospel
[Fargo/
Self 2007]
Una lunga storia si cela
dietro The Pirate's Gospel, raccolta di ballate naif che
scorazza per il mondo ormai da tre anni, tanto è passato dalla sua prima
formulazione. Alela Diane l'aveva concepita in totale indipendenza
e solitudine già nel 2004, destinata a circolare unicamente fra una ristretta
cerchia di amici. L'interesse crescente intorno alla sua voce da sirena
e alla sue nenie disarmanti ha mosso le acque del nuovo folk americano
portando ad una prima stampa per la Holocene Music. Sul finire dello scorso
anno infine la pubblicazione anche sul mercato europeo, grazie all'intervento
della francese Fargo, da diverso tempo interessata ai contemporanei sviluppi
della canzone d'autore. Tutte queste attenzioni potrebbero forse destare
qualche sospetto, anche alla luce degli immediati paragoni che hanno scomodato
CocoRosie, Joanna Newsom ed altre chanteuse ammalianti di questo
scorcio del decennio.
In verità si tratta della solita pigrizia e se proprio volessimo mettere
in gioco qualche accostamento, andrebbe ricordato il carattere assai meno
eccentrico e più rurale di Alela Diane, una ragazza di Nevada City, cresciuta
nel deserto della California ascoltando le canzoni del padre sotto il
portico di casa, poi incamminatasi verso il mondo come una vagabonda.
Nella sua natura errante, Alela ha imbracciato la chitarra soltanto intorno
ai suoi vent'anni, imparando i rudimenti di un leggero fingerpicking.
The Pirate's Gospel sembra esattamente fare tesoro della
poche certezze sin qui acquisite, sfruttando la voce angelica della protagonista
e accartocciandosi su soffici cantilene acustiche in cui una chitarra
e poco altro (piano, slide, sporadici echi di mandolino e banjo) sono
sufficienti a riempire lo spazio intorno alle sue storie un po' impressionistiche
e nostalgiche. Registrato con l'apporto del padre musicista, il disco
ha fascino da vendere e qualche promesa da mantenere nell'immediato futuro
(un nuovo disco già in previsione per il 2008).
Al momento si possono assaporare gli struggimenti di
Tired Feet e The Rifle,
folk song che ricorrono ad un immaginario intimo, a metafore semplici
che echeggiano la vita familiare di Alela. La predilezione quasi maniacale
per accordi minori rende l'ambientazione omogena, un unico flusso di coscienza
che unisce anche le successive Foreign Tongue,
Can You Blame The Sky, Pieces
Of String, provando a scuotere le fondamenta di questa ricetta
sonora soltanto con la stessa The Pirate's Gospel,
una irresistibile filastrocca marinara che rappresenta il baricentro del
disco stesso. In Sister Self appare
poi una slide guitar che dona un poco di mistero blues, ma è soltanto
uno scatto perchè il finale è tutto racchiuso nei fantasmi folk di Oh!
My Mama, melodia tanto elementare quanto commovente, e delle
due bonus track dell'edizione europea tra le quali spicca l'onirica Gipsy
Eyes.
(Fabio Cerbone)
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