inserito 13/02/2008

Nathan Holscher
Even the Hills
[
Nathan Holscher 
2007]



Figlio di uno spleen minore (o minimalista, se preferite, ma in senso buono), come molti suoi coetanei folksinger che hanno scelto i pennelli della tradizione per dipingere i loro malinconici bozzetti, il giovane Nathan Holscher ci manda una cartolina dall'Ohio - la seconda della sua carriera, l'esordio, Pray For Rain, nel 2004 - che potrebbe anche non finire dimenticata in un cassetto, come si crederebbe dopo un primo distratto sguardo. E' un album, questo Even the Hills, che si insinua lentamente tra le pieghe delle nostre giornate, per ricordarci la dolce tristezza dello scorrere del tempo, i segnali della consunzione sullo sfondo di un paesaggio familiare. Come la bella copertina, divani abbandonati nei prati e carcasse di auto ai bordi di una strada di campagna.

Lo fa con una scrittura nutrita della grande narrativa del suo paese, strade e colline a fare da sfondo a parole semplici ma evocative, con un continuo riferimento a luoghi e cose, correlativi oggettivi di un mondo osservato con lo sguardo di chi si chiama fuori della competizione e guarda disincantato ma partecipe la vita intorno a sé. Lo fa, soprattutto, con una musica in cui scorre la linfa di una tradizione precisa, che ha Townes Van Zandt come padre spirituale (Maria, ballata scorticata da una tristezza che stringe il cuore, ha più di un debito verso il maestro di Fort Worth) e il solito Ryan Adams come riferimento più immediato (l'iniziale My Sweet). Le note della cartella stampa ci informano anche di una passione del giovanotto per i Dire Straits. Verrebbe da prenderla come una boutade, se non fosse che a guardare più da vicino si scopre in alcuni brani (Hard High and Blue e Too Many Roads) quel passo da galoppo, a volte trattenuto, a volte no, con cui 30 anni fa Mark Knopfler partiva alla conquista delle praterie dell'ovest americano dal suo monolocale del West End di Londra...

Chitarra (acustica), basso batteria, banjo e pedal steel. L'armamentario di Holscher è tutto qui, tirato a lucido da Ric Hordinski, chitarrista in proprio e produttore degli Over the Rhine. Ma il vero valore aggiunto è l'apporto, praticamente in tutte le canzoni, di Tasha Golden, chanteuse degli Ellery: alla fine, i brani che restano nel cuore sono quelli in cui più emerge il suo contrappunto vocale (Locust, la già citata Maria e la title track su tutti). A ben guardare, l'unico piccolo grande limite, che non consentirà a Nathan di diventare il nuovo Damien Rice, è forse proprio nella sua voce, intima per necessità e scarsa estensione: un sussurro che non riesce a farsi mai urlo, ad alzare il livello dell'emozione dalla malinconia alla rabbia. Ma per 35 minuti (tanti ce ne chiede, della nostra attenzione) può andare bene anche così.
(Yuri Susanna)

www.nathanholscher.com
www.cdbaby.com


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