inserito 29/10/2008

Jude Johnstone
Mr. Sun
[BoJak records
2008
]



Sulla scia del precedente Blue Light, disco che imponeva una decisa sterzata jazzy alle sue ballate, la cantautrice californiana Jude Johnstone perfeziona la formula e trova una via espressiva invidiabile nel qui presnete Mr. Sun. Disco dalle candenze raffinate, malinconico e dolcissimo nel portamento, avrà forse il difetto di apparire sin troppo affatetato, e persino dipendente in modo radicale da un certo songwriting americano, tuttavia conferma le qualità dell'autrice, che già in passato ci aveva conquistato con dischi quali il citato Blue Light e il più folk oriented On a Good Day. Se avete dunque nostalgia dei 70s ammalianti di Carole King, se ancora spasimate per una ballad notturna condotta dal pianoforte, vagheggiando gli esordi di Rickie Lee Jones, Mr. Sun potrà in parte coprire i vostri desideri, a patto di non pretendere una scrittura particolarmente originale.

Ciò che resta non è poco tuttavia, considerata l'eleganza di una band che sa dove mettere le mani (David Piltch al basso, Danny Frankel alla batteria e Mark Goldenberg alla chitarra) e di qualche ospite che arrichisce il piatto di sfumature essenziali. Il piano, quello di Jude stessa, staziona al centro del palcoscenico, la sezione ritmica attacca e scivola via come una carezza, quindi il riflettore si sposta ai lati, fra una tromba con sordina (Daniel Savant), un sax (Marc Macisso), fragranze di una Los Angeles perduta da night club: Mr. Sun è pop adulto e sognante, apre i giochi con malizia, ma nel tracciare il carattere proprio del disco sanno fare ancora meglio le successive Over Easy e Don't Tell Me That It's Over, dove il ruolo degli strumenti a fiato occupa il posto che solitamente spetterebbe ad una prima stella. Jude Johnstone si mantiene al centro dell'attenzione senza uscire dai margini, accompagnando la canzone con classe e modestia: Sunday Evening è sorniona e pastosa nel suo incedere jazz da late night hour, istigando pianoforte, tromba e chitarra a rintuzzarsi a vicenda; Baby, Don't You Call My Name è la più bluesy del lotto, esaltando il lavoro per palati fini di Goldberg alla sei corde, impeccabile nella sua pulizia e nel fare da controcanto alla Johnstone, chanteuse che adora abbozzare semplici canzoni d'amore cercando le risposte a rapporti spesso difficoltosi.

Sceglie accuratamente uno stile ed imboccata la strada se ne discosta raramente (So Bad la più incline a prendere una scorciatoia folk, ma si tratta di un momento isolato), trovandosi avvolta in un mood inconfondibile che nel finale comincia probabilmente ad avere il fiato corto (seppure sulla qualità complessiva di Windng Back My Heart e The Light of Day ci siano veramente poche rimostranze). Mr. Sun possiede tutto il fascino demodè di un'autrice il cui valore è stato già riconosciuto da molti colleghi (sue canzoni sono finite infatti nei dischi di Bonnie Raitt, Stevie Nicks, Emmylou Harris e Johnny Cash fra gli altri) e che avrebbe ora il diritto di farsi apprezzare in tutta la sua personalità.
(Fabio Cerbone)

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