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Jude
Johnstone
Mr. Sun
[BoJak records
2008]
Sulla scia del precedente Blue Light, disco che imponeva una decisa sterzata
jazzy alle sue ballate, la cantautrice californiana Jude Johnstone
perfeziona la formula e trova una via espressiva invidiabile nel qui presnete
Mr. Sun. Disco dalle candenze raffinate, malinconico e dolcissimo
nel portamento, avrà forse il difetto di apparire sin troppo affatetato,
e persino dipendente in modo radicale da un certo songwriting americano,
tuttavia conferma le qualità dell'autrice, che già in passato
ci aveva conquistato con dischi quali il citato Blue
Light e il più folk oriented
On
a Good Day. Se avete dunque nostalgia dei 70s ammalianti di
Carole King, se ancora spasimate per una ballad notturna condotta dal
pianoforte, vagheggiando gli esordi di Rickie Lee Jones, Mr. Sun potrà
in parte coprire i vostri desideri, a patto di non pretendere una scrittura
particolarmente originale.
Ciò che resta non è poco tuttavia, considerata l'eleganza
di una band che sa dove mettere le mani (David Piltch al basso, Danny
Frankel alla batteria e Mark Goldenberg alla chitarra) e di qualche
ospite che arrichisce il piatto di sfumature essenziali. Il piano, quello
di Jude stessa, staziona al centro del palcoscenico, la sezione ritmica
attacca e scivola via come una carezza, quindi il riflettore si sposta
ai lati, fra una tromba con sordina (Daniel Savant), un sax (Marc
Macisso), fragranze di una Los Angeles perduta da night club: Mr.
Sun è pop adulto e sognante, apre i giochi con malizia,
ma nel tracciare il carattere proprio del disco sanno fare ancora meglio
le successive Over Easy e Don't
Tell Me That It's Over, dove il ruolo degli strumenti a fiato
occupa il posto che solitamente spetterebbe ad una prima stella. Jude
Johnstone si mantiene al centro dell'attenzione senza uscire dai margini,
accompagnando la canzone con classe e modestia: Sunday
Evening è sorniona e pastosa nel suo incedere jazz da
late night hour, istigando pianoforte, tromba e chitarra a rintuzzarsi
a vicenda; Baby, Don't You Call My Name
è la più bluesy del lotto, esaltando il lavoro per palati
fini di Goldberg alla sei corde, impeccabile nella sua pulizia e nel fare
da controcanto alla Johnstone, chanteuse che adora abbozzare semplici
canzoni d'amore cercando le risposte a rapporti spesso difficoltosi.
Sceglie accuratamente uno stile ed imboccata la strada se ne discosta
raramente (So Bad la più incline
a prendere una scorciatoia folk, ma si tratta di un momento isolato),
trovandosi avvolta in un mood inconfondibile che nel finale comincia probabilmente
ad avere il fiato corto (seppure sulla qualità complessiva di
Windng Back My Heart e The Light
of Day ci siano veramente poche rimostranze). Mr. Sun possiede
tutto il fascino demodè di un'autrice il cui valore è stato
già riconosciuto da molti colleghi (sue canzoni sono finite infatti
nei dischi di Bonnie Raitt, Stevie Nicks, Emmylou Harris e Johnny Cash
fra gli altri) e che avrebbe ora il diritto di farsi apprezzare in tutta
la sua personalità.
(Fabio Cerbone)
www.bojakrecords.com
www.cdbaby.com
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