inserito 25/02/2009

Elliott Brood
Mountain Meadows
[Six Shooter  
2008
]



Mark Sasso (voce, chitarra, banjo e ukulele), Stephen Pitkin (valigia, percussioni e voce) e Casey Laforet (chitarra, voce e bass pedals) ... non vi torna qualcosa? Ad esempio: che c'entrano questi con Elliott Brood? Oppure: che strumento è la valigia? La valigia è un'autentica valigia - pure di marca - che Pitkin usa come cassa della batteria, Elliott Brood invece è il nome e cognome che questi tre ragazzi canadesi hanno scelto per la loro band. Si tratta allora dell'ennesima band canadese di alternative-country-rock? No, Sasso e soci hanno abbastanza carattere per distinguersi dalla massa a cominciare dal fatto che la loro passione per l'Americana non è solo per la musica, ma anche per i luoghi e per la storia. La storia del massacro di Mountain Meadows - località dello Utah dove nel 1857 una carovana di emigranti diretti in California fu massacrata dalla milizia mormone - oltre a fornire il titolo al disco aleggia su di esso con il suo carico di desolazione e morte.

I testi cupi cantati dalla voce aspra di Sasso s'innestano su di un tessuto musicale che - come lascia intuire la strumentazione - è tipico dell'Americana ma dotato pure di un cipiglio punk che fa pensare - nei momenti migliori del disco - a Violent Femmes e Sixteen Horsepower. Mountain Meadows comprende tredici brani ma solo undici canzoni essendo Chuckwagon uno strumentale e The Spring Flood un breve interludio; la sostanza comunque non manca: dall'indie-rock del brano che apre il disco - Fingers & Tongues - e il lugubre grido di Sasso che chiede "where have they taken our bones?" a momenti più banali ma dannatamente efficaci come Write it All Down for You, passando per atmosfere più folk-rock come The Valley Town e Without Again dove la paletta musicale del gruppo si allarga ai fiati nella prima e all'uso ritmico del piano nella seconda, questi due colori fanno poi brillare Woodward Avenue, quindi si arriva già soddisfatti in fondo al disco e il pezzo finale - Miss you now - conferma la buona impressione.

Sasso, Pitkin e Laforet vedono Elliott Brood come un personaggio che attraversa la storia, una sorta di Leonard Zelig musicale con i piedi ben saldi in territorio musicale nordamericano, a cavallo tra USA e Canada come l'Ambassador Bridge, il ponte che collega la città natale della band, Windsor, a Detroit e al quale erano legate le tematiche del primo lavoro in studio. Questo secondo episodio del viaggio conferma la crescita del progetto e l'originalità della proposta musicale nonostante la sensazione di trovarsi davanti a un prodotto grezzo cui farebbe bene una produzione professionale che aiutasse soprattutto nella selezione del materiale da includere nei dischi. Ciò non toglie che il carattere ruspante degli Elliott Brood sia limite ma al tempo stesso punto di forza, perciò Mountain Meadows - malgrado qualche peccato d'ingenuità - merita tutta la nostra attenzione.
(Maurizio Di Marino)

www.elliottbrood.ca
www.myspace.com/elliottbrood


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