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Elliott
Brood
Mountain Meadows
[Six Shooter 2008]
Mark Sasso (voce, chitarra, banjo e ukulele), Stephen Pitkin (valigia,
percussioni e voce) e Casey Laforet (chitarra, voce e bass pedals) ...
non vi torna qualcosa? Ad esempio: che c'entrano questi con Elliott
Brood? Oppure: che strumento è la valigia? La valigia è un'autentica
valigia - pure di marca - che Pitkin usa come cassa della batteria, Elliott
Brood invece è il nome e cognome che questi tre ragazzi canadesi hanno
scelto per la loro band. Si tratta allora dell'ennesima band canadese
di alternative-country-rock? No, Sasso e soci hanno abbastanza carattere
per distinguersi dalla massa a cominciare dal fatto che la loro passione
per l'Americana non è solo per la musica, ma anche per i luoghi e per
la storia. La storia del massacro di Mountain Meadows -
località dello Utah dove nel 1857 una carovana di emigranti diretti in
California fu massacrata dalla milizia mormone - oltre a fornire il titolo
al disco aleggia su di esso con il suo carico di desolazione e morte.
I testi cupi cantati dalla voce aspra di Sasso s'innestano su di un tessuto
musicale che - come lascia intuire la strumentazione - è tipico dell'Americana
ma dotato pure di un cipiglio punk che fa pensare - nei momenti migliori
del disco - a Violent Femmes e Sixteen Horsepower. Mountain Meadows comprende
tredici brani ma solo undici canzoni essendo Chuckwagon
uno strumentale e The Spring Flood
un breve interludio; la sostanza comunque non manca: dall'indie-rock del
brano che apre il disco - Fingers & Tongues
- e il lugubre grido di Sasso che chiede "where have they taken our bones?"
a momenti più banali ma dannatamente efficaci come Write
it All Down for You, passando per atmosfere più folk-rock come
The Valley Town e Without
Again dove la paletta musicale del gruppo si allarga ai fiati
nella prima e all'uso ritmico del piano nella seconda, questi due colori
fanno poi brillare Woodward Avenue,
quindi si arriva già soddisfatti in fondo al disco e il pezzo finale -
Miss you now - conferma la buona
impressione.
Sasso, Pitkin e Laforet vedono Elliott Brood come un personaggio che attraversa
la storia, una sorta di Leonard Zelig musicale con i piedi ben saldi in
territorio musicale nordamericano, a cavallo tra USA e Canada come l'Ambassador
Bridge, il ponte che collega la città natale della band, Windsor, a Detroit
e al quale erano legate le tematiche del primo lavoro in studio. Questo
secondo episodio del viaggio conferma la crescita del progetto e l'originalità
della proposta musicale nonostante la sensazione di trovarsi davanti a
un prodotto grezzo cui farebbe bene una produzione professionale che aiutasse
soprattutto nella selezione del materiale da includere nei dischi. Ciò
non toglie che il carattere ruspante degli Elliott Brood sia limite ma
al tempo stesso punto di forza, perciò Mountain Meadows
- malgrado qualche peccato d'ingenuità - merita tutta la nostra attenzione.
(Maurizio Di Marino)
www.elliottbrood.ca
www.myspace.com/elliottbrood
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