inserito 29/07/2009

The Builders and The Butchers
Salvation Is a Deep Dark Well
[
Giganticy  
2009]



Ramshackle, burn burner, roots … che significano queste parole? Come si può scrivere di questa musica sradicandola dall'unico lessico che la comprende? La soluzione è ascoltare, perciò provate uno a caso dei primi tre pezzi di questo album e il senso autentico di questi termini si rivelerà alle vostre orecchie chiaro e potente. Avete ascoltato e capito? Bene! Adesso forse ne possiamo anche scrivere: all'inizio del decennio in corso cinque ragazzi dell'Alaska - luogo inospitale visti e considerati il clima (quelle temperature sempre al meno) e la politica (quella Sarah Palin) - lasciano le terra natia e vanno a Portland, Oregon, città progressista e culturalmente scintillante. A Portland i cinque scoprono la musica roots, l'Americana, e come già altri prima di loro sentono che queste radici hanno qualcosa in comune col punk con cui sono cresciuti, nascono così The Builders and The Butchers: Ryan Sollee (chitarra e voce), Paul Seely (mandolino, organo a pompa, bouzouki e tanto altro), Ray Rude (percussioni), Alex Ellis (basso) e Harvey Tumbleson (mandolino e banjo).

L'esordio su disco risale a due anni con l'album omonimo: più una promessa che una riuscita, oggi Salvation is a Deep Dark Well annuncia che non resterà incompiuta giacché troviamo materiale più coeso, direzione della scrittura ben determinata e - che non guasta - la produzione di Chris Funk dei Decemberists che aggiunge nuove frecce alla faretra musicale della band. Ramshackle, burn burner, roots si diceva: le note gravi di un piano aprono l'album, poi la voce spiritata di Sollee - sopra un tappeto di percussioni sparute e porte cigolanti che instaurano l'atmosfera gotica del disco - "close your eyes, and you draw one more day to a close, you choose to be alone, you float through your life as a ghost, and everything heals given time, and everything dies given time, and the scars run together, mixing the nerves with the blood" - poi le percussioni diventano possenti, la voce di Sollee diventa lamento di banshee e chitarra, banjo e mandolino rendono il ritmo indiavolato. Indiavolato? Sì, e il diavolo è una presenza costante dell'album: domina Devil Town e accompagna il giudice di Short Way Home e certo non è estraneo a Barcelona - la canzone più imprevedibile del disco - con una sezione fiati che dona un breve ma piacevole sapore tex-mex.

Down in This Hole invece ammiccando a Tom Waits ci narra una crisi economica i cui umori affondano più nella Grande Depressione che ai tempi di Bernie Madoff: "Nothin' lasts forever in a God forsaken town pocketbooks are empty 'cause the priest is back in town he's given all his dollars to the girls who work the square you never get a dime and there's murder in the air." Si resta negli anni '30 con Raise Up che ci riporta in Spagna al tempo della guerra civile: "when you make fire with the devil don't be surprised if you get burned." Sarà per esorcizzare questo satana onnipresente che la band chiude l'album con un gospel, dimostrando d'aver capito il senso profondo della musica roots: "there's joy and celebration through the darkness, there's light in the hardest of times" (Ryan Sollee).
(Maurizio Di Marino)

www.thebuildersandthebutchers.com
www.myspace.com/thebuildersandthebutchers


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