Certe volte un rimorso di coscienza mi porta a ben ricordare la differenza
tra creazione e imitazione, ma poi al momento giusto arriva un cd come
questo Tucson di LL Cooper a scombinare qualsiasi
coordinata critica. Mi era già capitato un anno fa esatto con un disco
senza troppo futuro come Someone Take The Wheel di tal Wade Lashley (talmente
incredulo dell'omaggio da aver richiesto la nostra recensione tradotta
e averla pubblicata su tutti i suoi siti di riferimento), vale a dire
di apprezzare e consigliare con tutte le riserve del caso uno di quei
dischi che l'amante di certa roots music (ma solo lui probabilmente) ha
bisogno di tanto in tanto come dell'aria che respira. Oggi tocca a questo
LL Cooper, anzi, teoricamente "ai" LL Cooper, visto che il nome figura
essere quello della band capitanata dal signor Larry Cooper, uno che con
il sopracitato Lashley ha in comune una voce baritonale pressoché identica
e un songwriting certamente imparato sul medesimo banco di scuola.
Di lui non si sa molto, che viene da Houston e bazzica Austin, ma questo
non era necessario leggerlo nelle note, visto che solo in mezzo al deserto
del Texas sanno creare questo sound elettro-acustico così perfetto, la
stessa via di mezzo tra rock e folk che in mano ad un Alejandro Escovedo
o a tanti altri eroi della città ha creato miracoli. Qui di moltiplicazioni
dei pani e dei pesci non se ne vedono, ma di canzoni dannatamente buone
sì, e pure molte (il disco ha tredici brani e dura 55 minuti, e per una
volta pare difficile localizzare dove si sarebbe potuto tagliare per un
minimo di senso della sintesi). Avrete capito che qui di colpi di testa
non se ne prendono, Cooper pare uno dei tanti che se gli sposti una nota
sul pentagramma cade in crisi esistenziale, ma è anche uno che ha prodotto
uno di quei tran-tran fatto di ballate ariose (la stessa Tucson
che apre dopo un interlocutorio opening, ma ancor più l'irresistibile
Behind), di bar-rock da balera (Swaggerin'
Staggerin) e spruzzate soul (Punching
Out) che ci piaceranno sempre.
Non manca nulla dunque, c'è la slow-song con assolo evocativo e pure archi
a perdere nel lungo finale (Snapshot),
una bella saltellante country-song con piano honky-tonk incorporato (Topsy
Turvy) e l'immancabile blue-collar rock da manuale (Stir
It Up), oltre che ad una buona band che ha nella chitarra di
Wil Woodward e nella bella voce di Kim Hundl i punti di forza.
Per le compilation da macchina vanno sicuramente annotate la strappalacrime
Open Guitar Case, l'highway song
di turno Pullman Company Man e il
diario di viaggio del finale acustico di Hippie
Riviera, ma davvero i momenti di noia sono pochi (forse la
promessa di matrimonio di Wearing Your Ring),
e il tasto play si rischiaccia volentieri. Probabilmente di più non speravano
neanche gli LL Cooper. (Nicola Gervasini)