inserito 05/10/2009

Deadstring Brothers
Sao Paulo
[
Bloodshot Records  2009
]



Con un'anima divisa a metà fra Detroit, luogo di nascita nel 2003, e Londra, città da cui proviene l'intera line up della band, fatta eccezione per il leader Kurt Marschke, i Deadstring Brothers sono un rock'n'roll circus (e mai il nome fu più appropriato viste certe ascendenze sonore) pronto ad affrontare l'eccitazione della strada: un lungo tour inglese questo autunno aprirà infatti il varco all'uscita, per il momento prevista per il solo mercato europeo, di Sao Paulo, disco su Bloodshot che soltanto con il nuovo anno apparirà sulle scene americane, trascinando con sé nuove date. Kurt Marschke pare avere pianificato ogni cosa nel minimo dettaglio, e in attesa che il gruppo prenda confidenza con il repertorio si è inventato un diversivo: si, perché al quarto giro di boa l'impressione è che i dischi dei Deadstring Brothers siano soltanto un'altra scusa per mandare avanti il circo di cui sopra. Nel caso specifico si tratta di impercettibili svolte dentro un sentiero che fin dagli esordi ha sempre avuto come punto di riferimento l'opera degli Stones più straccioni degli anni 70 (Exile come bibbia sul comodino, ma anche i Faces come stretti parenti e magari Gram Parsons quale musa ideale nei momenti di romanticismo Americana).

Sao Paulo, pur con tutte gli accorgimenti del caso, una evidente rozzezza di fondo che esalta il suono in presa diretta e la dimensione live della band, è semplicemente un discorso ripreso là dove Straving Winter Report e Silver Mountain si erano interrotti. L'originalità resta al grado zero, si sarà capito, anche se qualcuno si farà certamente trascinare dalla grondande e accalorata fisicità delle chitarre in Smile, Houston e The River Song; così come da una voce, quella di Marschke, che fa il verso a Mick Jagger rendendosi a seconda delle esigenze bluesy e dissoluta (la title track introdotta da una slide in odore di profondo e misterioso Delta), oppure ubriaca e infervorata di aromi campagnoli (Adalee, Yesterday's Style), in tutta la sua imprecisione. E la band in tutto questo suona maledettamente indolente, con piano e organo di Pat Kenneally a fornire le coordinate di un rock settantesco (la drammatica The Same Old Rule) che per certi brutti ceffi non vorrebbe mai tramontare, mentre pedal e lap steel di Spencer Cullum (il fratello Jeff si occupa del basso) sono l'indispensabile contrappunto roots di una formazione che per qualcuno poteva anche rientrare nella solita accozzaglia alternative country.

In realtà Kurt Marschke si è fatto le ossa a Detroit, città che di orizzonti country non sa che farsene, e dopo avere diviso il palco con Drive By truckers, My Morning Jacket e Shooter Jennings deve avere optato saggiamente per il volto "outlaw" del movimento. In Sao Paulo qualche cedimento di cuore gli è concesso (il duetto in Always a Friend of Mine) come spetta a tutti i romantici fuorilegge, ma alla fine la sua percezione del rock'n'roll resta sempre la stessa: un guaio più che un vantaggio, ma si difendono con onore.
(Fabio Cerbone)

www.myspace.com/deadstringbrothers
www.bloodshotrecords.com



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