Rodney
Decroo
Mockingbird Bible
[Northern
Electric Records 2009]
Non abbiamo mai avuto l'occasione di vedere in azione sul palco Rodney
Decroo, ma saremmo pronti a scommettere che il ragazzo sia capacissimo di
emozionare e di penetrare nell'anima di molti con le sue lunghe e sofferte canzoni.
La sensazione è palpabile tra le note di questo Mockingbird Bible,
terzo disco di questo scarruffato artista di Vancouver, e lo si respira ovunque,
nella voce strozzata dalle emozioni e tra le pieghe del suo verboso songwriting.
Ma tra il suonare davanti ad un pubblico e registrare un disco passa un fiume
di scelte da fare, accorgimenti tecnici da prendere, decisioni artistiche fatte
di rinunce e auto-limitazioni. Esattamente quel tipo di azioni che Decroo, come
tanti altri artisti della sua generazione, non ha avuto il coraggio/esperienza/capacità
e - perché no? - furbizia di fare. Per cui via a 60 minuti di musica, 13 brani
spessi come il cemento, non un attimo di svago e leggerezza, per lui un lungo
percorso liberatorio probabilmente, a noi solo una lunga sensazione di soffocamento.
Tutto molto "cool" e moderno, fin dal fatto che il disco in questione, se
fatto a brandelli dagli ascolti a singolo mp3 dei giovani web-surfers odierni,
non può che risultare intrigante, fin dal dark-blues acustico di Mockingbird
o quando si arriva già al terzo atto di Gasoline,
brano che si eleva sulla media per quell'arrangiamento alla Swell Season che fa
ben sperare per il proseguo. Ma noi siamo all'antica forse, per noi gli album
sono ancora "opere" che devono avere un senso d'insieme, non semplici collettori
di canzoni, e quindi non possiamo non storcere il naso quando ci troviamo davanti
a prodotti che sparano subito le cartucce migliori, quasi per la triste coscienza
che oggi si ha tempo massimo 5-10 minuti per convincere qualcuno a concedertene
60. Ma qui, passata la traccia numero tre senza nulla da eccepire, gli altri momenti
significativi bisogna cercarli a salti, passando magari al numero 5 per la bellissima
Long White Road, dylanescamente storpiata
con maestria, oppure al 9 per Loneliness Has The Soul
Of A Spider, uno di quei titoli che colpiscono e un testo che da solo
sorregge un delicato dialogo piano-chitarra acustica che viaggia dalle parti del
Matthew Ryan più straziato.
Ma in mezzo ci sono brani troppo lunghi
(Black Earth, Green
Fields), se non proprio poco sostenibili alla lunga (St.Augustine,
Lies Are Just Lies o As
Surely As You Breathe, folk-songs "sulla via di Dylan" alla Dan Bern,
ma senza averne la medesima forza lirica), che in generale fanno solo rimpiangere
qualche arrangiamento più veemente e full-band. Un critico inglese (Rob Forbes
della webzine Leicester Bangs) ha definito Mockingbird Bible quel perfetto mix
di dark-folk, country struggente e "indie cool" per cui la rivista Uncut dovrebbe
leccarsi i baffi. A voi capire dove stia il confine tra sarcasmo e complimenti.
(Nicola Gervasini)