inserito 03/08/2009

Levon Helm
Electric Dirt
[
Vanguard
2009]



Levon Helm - classe 1940, dell'Arkansas, del sud - conta molti fan, tanti debiti e una voce ridotta male da un tumore che ha mancato di poco anche l'anima: due dischi in diciotto mesi e concerti à gogo servono a rimettere in piedi le finanze? "I'll be back!" gridava Muhammad Ali - classe 1942, del Kentucky, del sud - e certo tanti come back di vecchie glorie producono soltanto lievitazioni dei conti bancari, ma perché il pubblico ama questi ritorni? Perché al tempo del prodotto in serie ha bisogno di giganti, di personaggi unici e irripetibili, e questi uomini che ritornano consentono to catch a glimpse of the real thing. Tredici anni fa quando accettò d'essere l'ultimo tedoforo ad Atlanta Ali emozionò il mondo per il coraggio di mostrare gli effetti devastanti della sua malattia: quello sguardo, quei gesti, a glimpse of the real thing appunto e un'iniezione di forza per chi gigante non è.

Tre anni fa durante una delle Midnight Rambles che dal 2004 si tengono nella sua casa/studio di registrazione a Woodstock Levon Helm si presentò da solo sul palco armato di mandolino e - per la prima volta dopo otto anni di malattia - cantò: poco più di un anno dopo, e con un po' di voce in più Levon ci regalò Dirt Farmer, recensioni positive, un Grammy, una storia emozionante and a glimpse of the real thing. Nell'estate del 2009 l'uscita di Electric Dirt conferma che questo gigante che non arriva al metro e settanta è in forma come non gli capitava da quella sera del novembre del '76 in cui calò la scritta The End sulla Band. Il disco si apre con degli accordi di chitarra, un breve ingresso dei fiati, poi l'inconfondibile drumming e infine la voce! Il magnifico rantolo degli anni '70 - quello che nonostante Levon si sia sempre definito la terza voce della Band non ha impedito a Rolling Stone di includere non Manuel o Danko ma Helm tra le 100 voci più grandi della storia del rock - quello non lo sentiremo più, ma il ricupero rispetto a Dirt Farmer è netto: allora Amy Helm e Teresa Williams sostenevano Levon anche in passaggi semplici, qui il leone ruggisce con loro e regge la scena anche nel pezzo di chiusura con la superba vocalità di Catherine Russell. Levon rifulge nella trascinante When I Go Away - di Larry Campbell, uno dei tre brani nuovi - quando nel chorus ulula no more trouble … no more crying un brivido corre lungo la schiena: perché questa è the real thing.

L'album parte con Tennessee Jed - immortalata in un live storico dei Dead - qui resuscitata grazie ai fiati del vecchio amico Allen Toussaint e a versi come "I run into Charlie Fog, blacked my eye and he kicked my dog, my doggie turned to me and he said, let's head back to Tennessee Jed" che gente come Hunter o Robertson potranno anche scrivere ma che per suonare autentici bisognano del southern drawl di Helm. Altro trattamento definitivo tocca a Kingfish di Randy Newman - altro arrangiamento di Toussaint e, come ai bei tempi, Howard Johnson alla tuba - spiccano le cover magistrali di compagni di strada che non ci sono più - come Pops Staples e Muddy Waters: Move Along Train sembra una gara di bravura a chi è più soulful tra Levon, Larry, Amy e Teresa. Una menzione particolare la merita Larry Campbell e non solo per il lavoro alla chitarra e alla produzione: ascoltate il suo violino su Golden Bird di Happy Traum. Dopo 52 anni di carriera Levon Helm resta fedele al suo DNA, a quel melting pot musicale che tra gli anni '40 e '50 caratterizzò la sua giovinezza nelle terre del Delta tra Memphis e il natio Arkansas, l'incontro della musica dei bianchi e dei neri reso fertile di storie da suonare e da cantare dai fiumi di una terra dal fascino immortale, lunga vita al Delta, lunga vita a Levon Helm, the real thing!
(Maurizio Di Marino)

www.levonhelm.com
www.vanguardrecords.com



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