inserito 15/01/2010

Hoots & Hellmouth
The Holy Open Secret
[
Mad Dragon  
2009]



L'impressione è chiara: non ci libereremo tanto in fretta di questa ondata folk che sta letteramente travolgendo le nuove leve artistiche sorte in questi ultimi due anni. Hoots and Hellmouth sono soltanto la più recente invenzione in fatto di ritorno a stagioni lontane di revival folk, radici e old time music, naturalmente declinati secondo un eclettismo e variazioni sul tema che appartengono interamente alla nostra epoca. Lungo il sentiero percorso negli ultimi mesi da Mumford&Sons, Woody Pines, e prima ancora da Avett Brothers, Langhorne Slim e Old Crown Medicine Show, la campana di vetro sotto cui si rifugiano Sean Hoots e Andrew Gray (in arte Hellmouth, e abbiamo risolto il mistero del nome) è fatta di trame acustiche e sapienti ripescaggi del passato che fu, tra le foto in bianco e nero di una scapestrata jug band agli angoli degli incroci di Memphis, un dixieland sentito per le strade di New Orleans, una antica melodia recuperata dai monti Appalachi e via di questo passo.

The Holy Open Secret
è già il loro secondo vagito per la Mad Dragon, dopo un omonimo e promettente esordio che li infilava dritti nel femonemo folk di ritorno. Non sono dunque dei ritardatari al banchetto, anche se l'effetto tende a scemare dopo le recenti scoperte: comincia ad esserci un certo affollamento e pur in tutta la loro esuberanza Root of the Industry e You and All of Us, partenza agile e scattante sulle note di un old time colorito, restano esempi già assimilati di una riverniciatura del genere. Il disco è breve come si addice alla tradizione, leggero al punto giusto, meditabondo all'occorrenza, il mondo musicale di Hoots and Hellmouth, duo allargato alla collaborazione di vecchi e nuovi amici (al mandolino il bravo Rob Berliner) conosciuti nel tempo sulla scena di Philadelphia, si fa apprezzare per la sua varietà di linguaggio e quell'idea che si possa passare dal registro più malinconico di Ne'er Do Well alle convulsioni ritmiche di What Good Are Plowshares If We Use Them Like Swords?, episodio fra i più singolari con le sue caricature e quell'organetto sixties.

Nel mezzo un trombone e la camminata di un'orchestrina da Big Easy in Dishpan Hands, ancora trame sudiste e un sapore gospel che affiora in Known for Possesion, tanto per rimarcare il vasto territorio tradizionale da cui la band prova ad attingere la sua ispirazione. Nulla di sbagliato in questa esuberanza e un divertimento garantito: la gavetta nei circuiti locali della costa est, le apparizioni al Philadelphia Folk Festival, un seguito di culto sono tutti segnali della crescita costante in pubblico e siamo quasi pronti a scommettere che proprio nella dimensione live Hoots and Hellmouth possano svelare un'irruenza qui soltanto abbozzata. Resta al momento la sensazione di una band potenzialmente meno dischiusa ad una qualche grande promessa, come nel caso di altre simili realtà citate in precedenza.
(Fabio Cerbone)

www.hootsandhellmouth.com
www.myspace.com/hootshellmouth



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