inserito 27/04/2009

Bob Mould
Life and Times
[Granary Music /Anti  
2009
]



Non ho mai pensato che Bob Mould avesse completamente perso la capacità di scrivere grandi canzoni, ma è certo che i suoi ultimi album, pur esaltando l'eclettismo e la curiosità dell'uomo, non rendevano giustizia alla tempra granitica dell'artista. Che negli ultimi tempi, tramite l'identità parallela di LoudBomb (un anagramma del suo nome), si è dedicato a numerose sperimentazioni con la musica elettronica e i remix di brani altrui, continuando così a sviscerare gli addentellati tra rock e techno già esplorati nell'astruso Modulate (2002) e nell'altrettanto disastroso Body Of Song ('05). District Line, ancorché non troppo ispirato, lo aveva riportato sui sentieri rabbiosi di quella canzone d'autore rockinrollista perlustrata, sia in chiave semi-acustica sia in modo rabbiosamente elettrico, nei primi capolavori solisti, gli indimenticabili Workbook ('89) e Black Sheets Of Rain ('90). A patto di non aspettarsi nulla né della poetica, dolente furia hardcore di quegli Hüsker Dü, né dell'effervescenza college-rock degli Sugar, Life And Times risulta senz'altro il miglior lavoro di Mould dai tempi dell'ottimo (e sottovalutato) The Last Dog And Pony Show ('98).

Si tratta di un album dai forti connotati autobiografici, a partire fin dal titolo, ma fortunatamente privo di ogni accenno di indulgenza o vittimismo: è anzi un piacere constatare come la scrittura di Mould non abbia perso nessuno dei propri spigoli nel riflettere con pungente sarcasmo sui passaggi del tempo (City Lights), sulla personale omosessualità (Argos), su amplessi consumati senza amore o prospettive (Bad Blood Better). Rispetto a un tempo, queste riflessioni e confessioni non sono più immerse nella dolorosa, densa, soffocante coltre di squarci rockisti e ballate taglienti che ha reso Mould famoso, e inconfondibile, bensì collocate in uno schema pop-rock di assoluta immediatezza che in certe occasioni (ascoltate gli arpeggi splendidamente malinconici della title-track) ricorda persino i REM di Automatic For The People. Sicché anche la potenziale claustrofobia di alcuni intrecci elettroacustici, per esempio quello di Wasted World, non manca mai di aprirsi in chorus ariosi, solari, quasi byrdsiani, e gli episodi più movimentati (penso a MM 17 e Spiraling Down, tutto un rincorrersi di assoli che sibilano come coltellate e rocciose murature di sei corde) di fare ricorso a melodie sempre accessibili e spontanee.

E se le parentesi superflue non mancano, a cominciare da una I'm Sorry, Baby, But You Can't Stand In My Light Anymore dove tutta la fantasia dev'essersi esaurita nella ricerca di un titolo, la chiosa rattristata di Lifetime, con samples e filtri vocali finalmente utilizzati in modo sensato (cioé quali contributi unici a un senso della narrazione quasi cinematografico e impressionista), sembra suggerire che le svolte cruciali si possono incontrare anche lì dove non le si andrebbe mai a cercare. Life And Times non è un disco cruciale, né ambisce ad esserlo, ma ascoltarlo è come ricevere la telefonata di un vecchio amico che si dava per disperso: qualsiasi siano i miei e vostri impegni, scatta subito la voglia di dedicargli un po' del nostro tempo e del nostro cuore.
(Gianfranco Callieri)

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