inserito 30/11/2009

Jeb Loy Nichols
Strange Faith and Practice
[Tru Thoughts
2009
]



"Mi sveglio al mattino e cerco di schiarirmi la testa, vedo quindici merli sui cavi del telefono, se si leveranno in volo verso ovest sarà quella la mia strada, se gli uccelli andranno verso est prenderò la strada per Johnstown" è così che ce la canta Jeb Loy Nichols in Sometime Somewhere Somebody - brano d'apertura di Strange Faith and Practice - e questa frase calza a pennello come descrizione delle scelte musicali di questo artista originario del Wyoming, che da quasi vent'anni ormai seguendo il volo degli uccelli si muove con naturalezza lungo le strade della musica americana - tutta, anche jazz - e poi verso la Giamaica e il reggae: miscugli fantasiosi che però in questo tempo - il tempo dei generi di nicchia - hanno riscosso poco successo presso un pubblico come quello odierno che non ama essere spiazzato. Spiazzante è - ad esempio - sfornare due dischi l'anno, infatti questa uscita settembrina fa seguito a Parish Bar che aveva visto la luce lo scorso gennaio, ma fatta eccezione per il crooning ricco di twang di Nichols i due album hanno poco in comune e se il primo può essere consigliato a chi volesse esplorare il lato eccentrico della musica del nostro, queste righe le dedicheremo al secondo, ad oggi il disco più maturo a nome Jeb Loy Nichols.

Strange Faith and Practice è stato registrato in UK con la collaborazione di un settetto guidato dal bassista Riaan Vosloo - che ha curato produzione e arrangiamenti - e per quanto si tratti di musicisti d'estrazione jazz le redini del progetto sono mantenute saldamente dal songwriting - solido e soulful come mai prima - di Nichols. La citata Sometime Somewhere Somebody apre le danze con il piano di Jennifer Carr e le spazzole di Tim Giles su cui s'innesta Nichols con voce e chitarra ma è il sax di Mark Hanslip a impreziosire il brano inscenando quasi un duetto con la voce solista. Il piano della Carr è una delle chiavi della riuscita dell'album, l'introduzione di Can't Stay Here è un tocco di classe, ma è il suo contributo nelle pieghe degli arrangiamenti a renderla essenziale. Tra gli strumenti degni di menzione non va dimenticata la voce di Nichols: ascoltate come disegna la melodia e il ritmo di Probably Never Stop - un intereprete di Americana che ha fatto il pieno di soul, un uomo del Delta venuto dal Wyoming.

Dei tredici brani che compongono l'album ce ne sono quattro che vedono la bilancia pendere verso gli istinti jazz dei collaboratori di Nichols (la title track, If I Can Come Home to You, lo strumentale Interlude Two e Home Wasn't Built in a Day) ma non al punto di deviare l'album dal suo corso e anche verso la fine del lavoro s'incontrano brani ispirati per scrittura e interpretazione come Cruel Winter, un inverno ai cui rigori Nichols affida il compito di spazzare via il ricordo di una lei. Quale direzione prenderà il volo di Nichols nel suo prossimo album? Fiduciosi che ci spiazzerà ancora godiamoci l'anima intima e passionale di questo disco.
(Maurizio Di Marino)

www.jebloynichols.co.uk
www.myspace.com/jebloynichols



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