inserito 22/04/2009

Ramblin' Jack Elliott
A Stranger Here
[
Anti/ Self  
2009]



Il soprabito è fradicio e sgualcito dall'acqua, le valigie stazionano ai piedi di uno "straniero"che si prepara forse ad vagabondare nel mondo in cerca di un approdo: manca soltanto una chitarra per tornare alla mitologia dell'hobo americano, ma sappiamo bene che basta quel nome, Ramblin' Jack Elliott, per evocare un immaginario fatto di depressione, polvere, treni, fuggiaschi, reietti e marginalità. A Stranger Here fomenta tutto ciò con una celebrazione che tuttavia non ha il sapore della sola nostalgia, piuttosto la saggezza di un lungo mestiere, di un cammino interminabile, giunto alla soglia dei sessanta anni di carriera, per un uomo che ne porta settantasette sulle spalle e non si è ancora stancato di cantare. Con la sua voce rotta e incerta, senza dubbio, ma con l'anima pulita e una volta tanto con un produttore, dei musicisti, un'etichetta che si sono presi la briga di costruirgli intorno un lavoro di ricerca, di donare alla sua figura un senso che non sia soltanto un rito fatto di ricordi.

Joe Henry, ancora e sempre lui, coscienzioso indagatore di vecchie glorie, gli ha messo a disposizione un'idea e soprattutto un suono che suscitasse un parallelo fra l'America del crollo finanziario di oggi e quella spesso sobillata a sproposito della Grande Depressione. Non è il caso di A Stranger Here e dei suoi country blues asciutti e sferzanti, che dagli spettri di Son House, Mississippi John Hurt, Reverend Gary Davis, Blind Willie Johnson ricava una rappresentazione magica dentro cui si riflette il presente. A far compiere uno scatto rispetto anche al precedente esordio su Anti (quel grezzo e scarno bozzetto folk di I Stand Alone), non è tuttavia la semplice scelta di un repertorio "black" e fuori dalla normale visione di Ramblin Jack Elliott: in A Stranger Here ci sono stanze accoglienti e altre più buie, e in ognuna si viene accompagnati per mano da musicisti che Henry ha diretto con la proverbiale e meticolosa eccellenza. Dal pianismo sfavillante di Van Dyke Parks e Keefus Cinancia alle cesellature chitarristiche di Greg Leisz (illuminazioni e godurie in Rambler's Blues), dall'accordion di David Hidalgo alla sezione ritmica formata da David Piltch e Jay Bellerose, c'è esperienza sufficiente per non far apparire classici quali Death Don't Have No Mercy e Soul of a Man (commovente da groppo in gola) esercizi di stile.

Joe Henry sembra inoltre avere accantonato quella patina di contegno che cominciava ad affiorare troppo spesso nelle più recenti produzioni: il canto di Ramblin Jack Elliott risulta così tutt'altrro che artefatto (in Grinnin' in Your Face di Son House si concede in tutta la sua precarietà) e il repertorio una manifestazione di vitalità in presa diretta, tra il dolce cullare di Richland Women Blues, una How Long Blues (Leroy Carr) che gigioneggia fra gli svolazzi della fisa di Hidalgo, per non tacere infine di una New Stranger Blues che suggeriamo a Ry Cooder di riprendere presto in concerto. Come dite? Gioco facile costruire un disco della portata comunicativa di A Stranger Blues, visti protagonista e comparse? Provateci allora, a prendere per le corna queste canzoni e a non venirne disarcionati come assoluti dilettanti.
(Fabio Cerbone)

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