inserito 27/03/2008

Abi Tapia
The Beauty In The Ruin
[
MoonHouse Records 2009
]



La scuola texana, si sa, sforna a ripetizione un gran numero di talenti che escono dall'Università di Austin con tanto di laurea in Americana. Spesso a pieni voti, dobbiamo ammettere, come nel caso di Abi Tapia, che è andata a studiare i segreti di quella disciplina grazie alla passione per la country music versione stella solitaria, quella che brilla ancora e fa luccicare un genere che un po' più a est risuona vuoto e ormai completamente ammaestrato. Un'infanzia nomade - e questa è una delle caratteristiche comuni alla maggior parte degli alunni dello stesso corso - che si trascina tra Iowa e Maine, la musica nel sangue e un'attitudine che, a differenza di molti colleghi, va oltre la semplice stropicciata di un sogno ammorbidito da un arpeggio di chitarra. Abi ci sa fare, lo si percepisce sin dalle prime note di questo album che segue il già ottimo One Foot Out The Door di quasi quattro anni fa, una manciata di canzoni che lasciano trasparire un songwriting maturo e una produzione di valore che conta su pochi mezzi ma buoni, come a ribadire che la sostanza non ha bisogno di suppellettili, spesso un limite alla naturale e nobile predisposizione.

Chris Gage, patron della MoonHouse e ottimo polistrumentista, dispiega un sound che incornicia a dovere alcuni ritratti di tristezza, solitudine e speranza a lieto fine. Pedal steel e violino arricchiscono senza esagerare un impianto semiacustico che pone con naturalezza Abi Tapia nella folta schiera del cantautorato al femminile in senso classico, quello che miscela senza difficoltà country, folk e qualche goccia di rock che aumenta il grado alcolico senza rischio di ebbrezza. In questo caso direi che ci troviamo di fronte a una via di mezzo tra Mary Chapin Carpenter e la Tracy Chapman del primo disco, quello che ormai fa parte del mito: se si ascoltano l'iniziale Another State Line, un'autobiografia in musica con tanto di steel, la bellissima My Miner, una sorta di versione moderna di For My Lover, e la conclusiva The Last Waltz, grandissima ballata dall'impianto epico, non tardiamo a rendercene conto.

The Beauty In The Ruin
è un disco solido dall'inizio alla fine, ricco di spunti notevoli e sorprendenti come The Easy Way, un brano che affronta il difficile tema della depressione, con organo e violino a imprimere il passo a un refrain magistrale, oppure Let The Lover Be, un country upbeat da canticchiare all'infinito, con quella limpidezza melodica che scombina i piani del motivo da fischiettare durante la giornata. Se Flying racchiude qualche inflessione pop, Beware poggia su un'impalcatura folk di stampo classico, mentre Just Let Me Go è un country degno di tale nome che apre le porte a Get It And Go, chitarra knopfleriana e altro highlight della raccolta. Non poteva mancare una concessione al rock, e Born Again giustifica l'assenza in tempo reale. Belle canzoni, bella voce, Abi Tapia ha tutte le qualità per emergere, se lo merita.
(David Nieri)

www.abitapia.com
www.moonhouserecords.com


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