Nella prima metà degli anni '60 le jug band di giovani bianchi universitari
che saccheggiavano il repertorio folk e blues pre-guerra per servirlo
sul piatto alla generazione beat si inserivano in un clima socio-culturale
in cui la (ri)scoperta delle radici della musica popolare faceva fermentare
l'aria che avrebbe portato di lì a poco alla contestazione e alla cosiddetta
controcultura. Koerner, Ray & Glover (procuratevi Blues Rags & Hollers
del 1963, se non l'avete) sono importanti tanto quanto Kerouac per capire
l'humus da cui germogliarono Dylan e gli altri a seguire. I Wiyos
sono un quartetto di Brooklyn che ripropone la musica degli anni '20 e
'30 (swing, piedmont blues, ragtime), si veste come comparse di Gangster
Story, cerca nei dischi (non in questo, per fortuna) di ricreare le dinamiche
di suono dei vecchi 78 giri (perché non registrare direttamente in mono?)...
Tutto ciò nel 2009 non può che suonare come un esercizio di stile, un
gioco di ruolo in fuga dalla realtà, incapace di "morderla" e rappresentarla,
se non indirettamente (il disordine temporale come cifra della contemporaneità?).
Un'operazione discutibile, che ci dona però - questo sì, bisogna ammetterlo
- un mucchio di canzoni gradevoli, ben eseguite, di grande svago "intelligente"
(ammesso che non sia un ossimoro). La modernità non è completamente bandita
dal suono dei Wiyos, serve a rendere il piatto più ricco, a volte porta
ad ibridazioni strambe, come quando melodie anni '30 si accompagnano a
un beatboxing hip hop (accade nella ruffiana Roll
on Down the Road e nella distorta Stomp,
la nostra preferita). In questi casi l'impressione è quella di un Beck
innamoratosi di Jelly Roll Morton, ma per il resto solo la pulizia del
suono e qualche trucco da studio di registrazione ci fanno capire che
siamo nel ventunesimo secolo. Uno sguardo al menù? Dontchletemcatchya
è una storia di fuga a ritmo di western swing, con il fiato dell'armonica
sul collo e il pungolo della pedal steel alle calcagna. Promenade
è una danza sincopata con armonie da barbershop band. Angeline
è una dichiarazione d'amore cajun, mentre in
All Aboard si parte alla ricerca delle radici del bluegrass.
Chiude le danze Valentina, valzer
malinconico su cui si spengono le luci.
Rispetto ai tre dischi precedenti questa volta le canzoni sono
tutte originali: la differenza non si nota più di tanto, e questo è probabilmente
il miglior complimento che i Wiyos vorrebbero sentirsi fare. Ma pur sempre
di artefatti si tratta. Un'operazione non molto diversa, se non nelle
potenzialità commerciali e di investimento/visibilità, da quella di un
Michael Bublé che ripropone il crooning e lo swing alle generazioni che
non l'hanno conosciuto. Certo, i Wiyos ci sono molto più simpatici di
Bublé, sono indipendenti e sfigati, oltre che dotati di una buona dose
di talento. Sarebbe però interessante sentire cosa combinerebbero, una
volta messi via i panni old fashion. A ben vedere, poi, tanto sfigati
non sono: molta stampa li applaude e Dylan e Mellencamp li hanno apprezzati
al punto da volerli in alcune date del loro tour. E' il postmoderno, baby.
(Yuri Susanna)