inserito 14/12/2009

Woody Pines
Counting Alligators
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Woody Pines  2009
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Trenta minuti e una manciata di secondi sono sufficienti per un viaggio di andata e ritorno lungo l'albero genealogico della roots music americana: Woody Pines, l'autore e la band, in pratica una cosa sola, ci rinfrescano la memoria con brani autografi e un pugno di traditional seguendo le linee di quel rinascimento old time che ha visto in prima fila in queste stagioni gli Old Crown Medicine Show. Il loro nome non è citato a caso, se è vero che Woody Pines, ragazzo del North Carolina poi stabilitosi fra Nashville e l'amata New Orleans, ha collaborato in passato con Gill Landry, lo stesso membro dei OCMS che ritroviamo nelle session di Counting Alligators a maneggiare slide guitar, organo e batteria, portandosi appresso anche il compagno Ketch Secor al violino (un cameo in Walking Down the Road e Chew Tobacco red). I legami artistici e l'ispirazione comune si stringono dunque e Woody Pines si alliena a questa ondata revivalistica con l'energia e la freschezza che si addice al genere: blues, hillbilly, ragtime, dixieland sono solo alcune delle suggestioni musical-geografiche che attraversano le unidici tappe di Counting Alligators, terzo lavoro indipendente della band (compeltata da Zack Pozebanchuk al contrabasso e dalla coppia Rennie Elliott e Andy Tubb alle percussioni e batteria).

Probabilmente, avvantaggiandosi delle famose collaborazioni, si tratta anche del disco che li proietterà sotto i riflettori dell'universo Americana, già lodati dalla critica e in procinto di affrontare un tour inglese la prossima primavera. L'impressione è che se le qualità strumentali e la vivacità di esecuzione non siano affatto in discussione (in studio si aggiungono poi il sax e la cornetta di Henry Westmoreland dagli Squirrel Nut Zippers), il raggio d'azione di Woody Pines e compagni sia ormai uno standard che ha dato i suoi migliori frutti. Risentire - pur in tutta la loro immediatezza - le ennesime versioni di Casey Jones e 99 years (altri brani riepscati dalla memoria sono il ruspante dixieland di Harlem, l'effervescente Rich Gal Poor Gal e il più mansueto country blues Satisfied) non appare più una rivelazione assoluta, almeno per chi in questi anni ha seguito i ricorsi storici affiorati fra i giovani musicisti americani.

È comunque innegabile che l'espressione di fedeltà agli originali, amplificata da quello spirito esuberante che appartiene agli stessi Old Crown Medicine Show, renda Counting Alligators (a partire proprio dall'armonica bluesy che soffia nella title track) una festa di sapori antichi e rigorosamente rurali. Woody Pines in persona convince con il suo canto nostalgico e ossequioso dei padri: anche i brani firmati in proprio - tra una vispa Cocaine Bill e una più abbandonata Crazy Eyed Woman - sono mossi da questa devozione assoluta. Il rischio purtroppo è sempre quello di mostrarsi, nonostante tutta l'energia profusa, come una semplice riproduzione.
(Fabio Cerbone)

www.woodypines.com
www.myspace.com/woodypines


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