inserito 26/03/2010

Kasey Anderson
Nowhere Nights
[
Blue Rose  
2010]



This nin't never be my home: in Bellingham Blues, canzone che apre il suo terzo disco intitolato Nowhere Nights, Kasey Anderson lo ripete quasi si trattasse di un mantra, prima di lasciarsi definitivamente alle spalle otto anni di amori, amicizie, vita vissuta nella cittadina dello stato di Washington. Si lecca le ferite, fa terra bruciata intorno a sé e si dirige a Portland, suo luogo d'origine, dove i brani di Nowhere Nights hanno preso forma compiuta, ancora una volta sotto le cure del produttore Eric "Roscoe" Ambel. Quando si mette di mezzo l'ex Del Lords solitamente la verità di un autore viene a galla: non sempre accade però a questo giovane songwriter, che sul ruvido sussurro della voce, tra le pieghe malinconiche del canto, si gioca una parte di quel fascino da cantore di provincia che ha già conquistato diversi sostenitori. La struttura folk rock di queste ballate ricorda da lontano il battito urbano che apparteneva agli esordi di Matthew Ryan, magari con un accento più coinvolto dalla raucedine del country, ma manca di un'invenzione, di uno scatto che impedisca al repertorio di suonare spesso e volentieri troppo appiattito.

Ciò che resta in mano è semmai un pugno di piccole, inquiete confessioni travolte fra amore e nostalgia, per un passato da dimenticare e per una relazione irrimediabilmente finita. Anderson cerca ispirazione nei suoi "luoghi oscuri" e se ne esce con un disco a intermittenza, dove folk song trasparenti e fragili si alternano a graffianti rock'n'roll dai risvolti elettrici. Innegabile che le chitarre di Ambel (con lui la band che accompagna Kasey Anderson dal vivo, tra i quali il chitarrista Dan Lowinger e l'organo di Lewi Longmire) inseguano gli scrosci dell'anima dell'autore: All It Up, Torn Apart, Nowhere Nights scommettono l'intera posta su semplici riff (forse troppo semplici), un suono scarno e possibilmente dal vivo che riesca ad esaltare l'interpretazione "sporca" di Anderson, anche se all'ennesimo up&down di Sooner/Later (Tom Petty passando per Ryan Adams, se l'idea rende) il gioco di specchi con le fonti di ispirazione comincia a stancare.

Il limite principale di Nowhere Nights sta proprio in questa parsimoniosa scelta degli arrangiamenti: potrebbe anche risultare la soluzione più calzante per il songwriting di Kasey Anderson, ma deve poi affrontare una innegabile monotonia di fondo. E quando a prendere il sopravvento sono le tonalità bisbigliate, malinconiche di Home, Leaving Kind e Like Teenage Gravity l'impasse è quanto mai evidente: non si tratta in sé e per sé di canzoni scialbe (e la qualità dei testi men che meno, basterebbe la struggente I Was a Photograph, dedicata alla figura del soldato James Blake Miller di stanza in Iraq), eppure non escono dal recinto della normalità dei mille folksinger. Qualcuno pare avere intravisto fra le note di Nowhere Nights una forza inaspettata, un nuovo interessante autore da portare alla luce: qui francamente non ce ne siamo accorti, giacché di particolari rivelazioni o passaggi di testimone non se ne intravedono all'orizzonte.
(Fabio Cerbone)

www.kaseyanderson.com
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