inserito 01/03/2011

Malcolm Holcombe
To Drink the Rain
[
Music Road Records  
2011]



La prima volta che vidi Malcolm Holcombe dal vivo rimasi impressionato per la carica e l'intensità che era in grado di comunicare la sua musica, la sua voce roca e piena di dolore, la sua chitarra acustica e il suo inconfondibile picking: piegato su se stesso, occhi chiusi è lui che impersona la vera anima del blues acustico, quello primordiale figlio di Mississippi John Hurt o Fred McDowell. "Bere la pioggia" in senso di liberazione dal pesante fardello della disintossicazione, "bere la pioggia" per cancellare gli sbagli del passato e per sentirsi finalmente libero. Come scrive Rolling Stone: "la sua musica va al di là del folk è una sorta di blues in motion che raggiunge tutti gli angoli del cuore". To Drink The Rain (con artwork dello stesso Malcolm) è il suo ottavo album in studio dopo il precedente For The Mission Baby e viene inciso per la Music Road (condotta da Jimmy La Fave) dopo aver rimbalzato tra un'etichetta e l'altra. E' stato prodotto dall'amico Jared Tyler (anche al dobro) e registrato in single take in soli tre giorni in compagnia di un superbo combo di musicisti texani e di Nashville: Dave Roe (che ha fatto parte dell'ultima band di Johnny Cash) al basso, il fiddler Luke Bulla e il mai troppo intrusivo drummer Bobby Kallus.

E proprio Johnny Cash e i suoi American Recording sembrano essere il punto di riferimento per il sentimento e il suono che è in grado di trasmettere l'intero album. Un suono raccolto, acustico come se la sua voce fosse accompagnata da una Jug Band degli anni '30. One Leg At Time inizia danzereccia come un rag-time stomp blues che non può non farti muovere, con il fiddle in prima linea ad accompagnare il picking di Holcombe. Si respira aria di casa con Mountains Of Home, un country waltz rurale da pelle d'oca con un andamento lento che ricorda le ultime cose di Levon Helm. Si continua con il folk blues stradaiolo da vero Hobo di Behind The Number One per passare al bluegrass della bellissima Down in The Woods, che ti trasporta nella pace della natura dei Monti Appalachiani. Becky's Blech è una struggente porch song con il dobro e il violino in bella evidenza. E' il ritratto di una persona con un cuore speciale, fragile, non suo e Malcolm la canta con tutta la forza che possiede. Those Who Wander e Where I don't Belong sono due talkin' blues diretti e schietti nello stile tipico di Holcombe. A Mighty City è una ballad con inflessioni jazz perfettamente eseguita da tutta la band al seguito, mentre Reckon Wind è puro folk, acustico e malinconico come solo Woody Guthrie era capace di fare.

Nella title track Malcolm dimostra tutto il suo talento e maestria al fingerpicking con tratti che raggiungono l'intensità della Freedom di Richie Havens (Woodstock era, ricordate?). Comes The Blues è scarna e cruda come un blues del Delta, eseguita in solitario, mentre la finale One Man Singin è l'epitaffio di un viaggio che ci ha condotto dentro l'anima di una persona ormai libera da ogni carico. La sua rimane una voce che non può mentire, che è stata messa a dura prova dagli eventi della vita e che l'ha quasi condotto sul ciglio della strada dannata di Hank Williams. Malcolm ha invece combattuto come un guerriero e quest'album, da sentire tutto d'un fiato, ne è la coraggiosa riprova.
(Emilio Mera)


www.malcolmholcombe.com


   


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