Non chiamatelo "un ritorno alle nostre radici", come si affretta a dichiarare
il ribattezzato leader Yim Yames, nonostante lo stesso si smentisca un
secondo dopo facendo riferimento al titolo e alla canzone omonima, Circuital,
come ad un sorta di percorso circolare, appunto, che conduce i My Morning Jacket
verso il passato, la terra d'origine in Kentucky e naturalmente un suono più
consono alla loro formazione di indie rock band dal cuore tradizionale. Disco
stranamente conciso per quanto ci avevano abituati, è senza dubbio una dichiarazione
di resa rispetto agli eccessi di sperimentalismo che li avevano trascinati oltre
ogni barriera nel confuso, sfuocato Evil
Urges. Potremmo persino parlare di compromesso per Circuital, se la
parola non suonasse con una connotazione troppo negativa: in realtà, la produzione
limpida e più semplice possibile, architettata con Tucker Martine in un vecchio
ginnasio di una chiesa locale del Kentucky, mostra l'esigenza di mediare fra le
pulsioni, sempre presenti, di forzare oltre il limite le fondamenta del gruppo
e dall'altra di ritrovare la via di casa.
In tal senso Circuital è forse
il classico disco di passaggio, che fa il punto della situazione dopo la sbornia
degli anni passati e cerca di portare a maturazione tutta l'esperienza accumulata.
Di questo passo di svela come un'opera pacificatrice e assai meno irrefrenabile
del suo predecessore, ancora attraversata da indecisioni e prospettive che dovranno
assestarsi, ma godibile nel suo insieme. Certamente per chi ha apprezzato il "country
cosmico" e la rilettura in chiave psichedelica dell'eredità southern rock dei
primi lavori (soprattutto At Dawn e It Still Moves), ritrovare gli slanci e l'epica
delle chitarre nella title track oppure la fragilissima e dolce struttura acustica
di Wonderful (The Way I Feel) sarà una piacevole
boccata d'ossigeno, fermo restando che i My Morning Jacket sono una band troppo
audace e irrequieta per fermarsi alla citazione. Circuital dunque è sempre percorso
da una smania di suggestioni e deviazioni che rendono sfuggente la fisionomia
di questi musicisti: un pregio in buona parte, ma anche un difetto quando il grado
di caos prova a forzare la mano e unire l'impossibile.
Accade quando una
straniante Holdin' On to Black Metal intreccia
fiati in odore di selvaggio r&b, cori fanciulleschi e una solennità degna dei
Pink Floyd più eccessivi, e ancora quando la successiva First
Light spinge fino all'estremo la componente black dell'album, oppure
The Day Is Coming prova a misurarsi sul terreno
di un pop sognante e zuccheroso, come se Yim Yames e compagni si fossero improvvisamente
innamorati dei 10CC. Costretti invece a riflettere su se stessi, ragionando sulle
proprie qualità di scrittura, i My Morning jacket continuano ad essere quella
elettrizzante, eccentrica macchina del tempo che imbratta con imprevedibilità
i linguaggi dell'american music, mettendo insieme Beach Boys, country rock, pop
psichedelico (Outta My System, You
Wanna Freak Out, Slow Slow Tune)
e un finale molto struggente nelle braccia del soul più estatico (Movin'
Away). Ancora lontani dalla perfezione forse, ma più disponibili a
dare credito alle canzoni. (Fabio Cerbone)