Non è il primo e non sarà
certo l'ultimo caso di felice comunicazione fra tradizione country e ribellione
punk. Potremmo citare il clamoroso e riuscito binomio di Mike Ness, leader dei
Social Distortion fulminato sulla via del rockabilly e di Johnny cash, che in
realtà manca all'appello con un disco solista da troppo tempo ormai. Per i nostalgici
potrebbe coprire l'assenza Nick 13, nome d'arte di Nick Jones da San José,
California, già trascinatore dei Tiger Army sulla scena punk rock californiana
e oggi reinventatosi con successo come romantico cantore di ballate dal sapore
country&western. Un'operazione ad effetto questo omonimo debutto, che evidentemente
il buon Nick cullava da tempo, anche perché le influenze di tutta la tradizione
nashvilliana, il rock'n'roll della Sun e buon ultimi il Bakersfield sound e l'honky
tonk degli anni '60 erano comunque nascosti sotto i riff e l'elettricità della
sua band di riferimento. Gli elementi del trio, con contrabasso e scarna batteria,
richiamavano già una sorta di psichobilly, imbastardimento del primo rock delle
radici che ha sempre avuto una scena molto ricettiva negli States. Nick 13 appare
invece qualcosa di più educato, elegante e decisamente tradizionalista, un omaggio
riuscitissimo al sound country dell'epoca d'oro, ad una Nashville che non esiste
più o quasi e che rivive in questo pugno di canzoni, dieci in tutto per una quarantina
di minuti scarsi, secondo le regole di una volta.
La voce gentile, accogliente
e melodica di Nick 13 ricorda Chris Isaak e Raul Malo, anche negli arrangiamenti,
tra una sentimentale In The Orchard che non
avrebbe sfigurato nel repertorio dei Mavericks più sdolcinati e una Nashville
Winter dai colori cristallini. I punti di riferimento d'altronde sono
certamente molto simili, anche se va ammesso che Nick 13 guarda con più affetto
a Buck Owens, a certo country californiano, naturalmente anche ad un discepolo
e poi maestro egli stesso come Dwight Yoakam, aggiungendovi un tocco western tutto
personale: ad esempio l'epica Carry My Body Down
e la chiusura con Gambler's Life, un titolo
che dice tutto dell'immaginario evocato dall'album. La dolcissima Restless
Moon diffonde invece fragranze da border grazie all'accordion di Mike
Webb; la più ruspante 101 è sospinta da un
inconfondibile (e necessario) twang sound delle chitarre, e così anche Nighttime
Sky, altro banco di prova per la morbida vocalità di Nick 13.
Quest'ultimo
brano, così come Cupid Victim, è marchiato
a fuoco dalla leggendaria pedal steel di Lloyd Green: è soltanto uno dei
tanti nomi di prestigio che accrescono il valore strumentale di un disco che risulterà
semplicemnete una goduria per chi ama le sonorità più classiche del genere. Greg
Leisz infatti produce con James Intveld e entrambi ci mettono lo zampino,
il primo con chitarre, pedal e lap steel, il secondo al basso, scegliendo poi
per ogni singolo brano l'ospitre più azzeccato. Profumi di vecchia America allora,
disco senza dubbio dall'intenso sapore retrò, eppure una delle uscite strettamente
country più fresche del 2011. (Fabio Cerbone)