inserito 22/09/2011

Richmond Fontaine
The High Country
[
Decor  
2011]



Prima o poi era da mettere nel conto: i Richmond Fontaine superano il confine fra musica e narrativa e si lasciano trascinare in un confuso ciclo di canzoni che, seppure non possieda la presunzione di certi concept album (qui viaggiamo in territori troppo "minimalisti", lontani dalla sontuosità di certi progetti), sacrifica in larga parte l'elemento compositivo per gettarsi completamente dentro un groviglio di personaggi, storie, veri e propri capitoli in cui l'aspetto letterario prende il totale sopravvento. Inevitabile forse di fronte al peso della scrittura di Willy Vlautin, autore ormai di short stories e romanzi talmente apprezzati da avere sfondato anche la barriera del cinema, con il suo celeberrimo Motel life trasformato di recente in un lungometraggio dai fratelli Polsky e recitato fra gli altri da Dakota Fanning, Stephen Dorff e Kris Kristofferson. The High Country è già stato curiosamente definito una sorta di "gothic soap opera", ironica sintesi che non rende tuttavia giustizia alla profondità delle liriche di Vlautin, dense e dure ma cariche di uno spietato sguardo d'autore che non può essere ridotto a certo sentimentalismo d'accatto. I suoi protagonisti sono un giovane della working class, un meccanico, innamorato di una ragazza commessa al negozio di ricambi auto, sullo sfondo di un Oregon e più in generale di un moderno West americano desolato e pieno di contraddizioni.

La storia (e il disco) si svolge lungo diciassette episodi che sono visti come pagine, descrizioni e relative unità di un unico romanzo: nel mezzo dello svolgimento brani strumentali, recitazioni, disturbi radiofonici scandiscono i passaggi. I Richmond Fontaine hanno dato forma così alla scrittura di Vlautin dimenticandosi però della fruibilità di un simile disegno musicale: a tratti secco e vibrante, con momenti di improvvisa furia punk garage che riporta agli esordi della band, The High Country è pronto però a trasformarsi in un disco borioso ed evanescente. Nel primo caso accade di innamorarsi della cruda scorza elettrica in The Chainsaw Sea o della furia di Lost in the Trees, di lasciarsi inghiottire dalla strozzata malinconia in The Eagles Lodge e Let Me Dream of the High Country, quest'ultima cantata dall'alter ego femminile di Vlautin nello sviluppo della storia d'amore, Deborah Kelly (ex Damnations).

Nel secondo invece resta il dubbio di una musica cinematica, una sorta di colonna sonora abortita fra i vari incastri rappresentati da The Girl on the Logging Road, The Mechanic Falls in Love with the Girl, gli stridori di Angus King Tries to Leave the House e la pura recitazione di Claude Murray's Breakdown, dove Dan Eccles, Dave Harding e il buon Paul Brainard (una pedal steel, la sua, così caratteristica nel suono del gruppo e un po' assente questa volta) dilatano il desert sound tipico dei Richmond Fontaine fino a renderlo impalpabile. Resta la consolazione di una cavalcata finale, The Escape, sfumata poi nella direzione della morbida chiusura acustica con Leaving, ma è solo una lontana suggestione: i Richmond Fontaine hanno deciso di essere una propaggine di una novella di Willy Vlautin, noi li preferivamo come un'entità più definita, anche solamente una normale rock'n'roll band.
(Fabio Cerbone)


www.richmondfontaine.com


   


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