Greg
Trooper Upside-Down Town
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Shakes Records 2011]
Una banalità, se volete: Greg Trooper scrive belle canzoni. Semplici,
rotonde, con un fuoco soul che crepita sotto la superficie folk e country della
sua scrittura da classico storyteller americano. L'accusa più facile (e certo
giustificata) che gli si può muovere è quella di incidere più o meno sempre lo
stesso album, da quando una pletora di colleghi si sono accorti della sua penna
e lo hanno in qualche modo aiutato a fare i bagagli dal periferico New Jersey
per approdare nel cuore del songwriting Americana che conta. E tuttavia, di fronte
all'ennesima collezione di ballate con l'anima divisa fra Nashville e Memphis,
fra Hank Williams e Otis Redding (come ama sottolineare lo stesso autore con una
certa enfasi), non si può non confermare la classe di un musicista che "fa
il suo mestiere", giostrando come pochi quelle tre/quattro regole essenziali
per scrivere una canzone che arrivi dritta ai sentimenti dell'ascoltatore.
Upside-Down Town dunque non cambierà il destino di Greg Trooper, ne tanto
meno quello di chi lo ha sempre apprezzato nella sua carriera: semmai lo condanna
oggi ad una auto-produzione che lo mette fuori gioco anche rispetto alla Nashville
che conta.
Niente più Sugar Hill insomma, etichetta di un certo prestigio,
e niente più produttori di grido, forzato a cercare il finanziamento dei suoi
sostenitori attraverso il web, prima di vedere la fine del tunnel e portare in
dono dodici nuovi episodi che viaggiano sulle strade secondarie del folk rock
americano. Non si pensi però ad un disco rattoppato all'ultimo momento: Upside-Down
Town poggia su musicisti di lungo corso - Kenneth Blevins (John Hiatt) alla batteria,
Kevin McKendree (Delbert McClinton) al piano e chitarre, David Jacques (John Prine)
al basso - e su quelle idee che forse mancavano al precedente The Williamsburg
affair, miscellanea di scarti e inediti che lasciava intuire un momento di riflessione.
Trooper riparte oggi dalle sfumature soul di Nobody
In The Whole Wide World, persino da un suono più elettrico e pulsante
nelle ballate (la migliore si chiama Bulletproof Heart,
per testo e intensità di interpretazione, ma anche Dreams
Like This e Time For Love si difendono
bene nello svolgere country rock di solida fattura), anche se il suo marchio di
fabbrica resta quella voce così chiara e compassionevole, capace di sorreggere
piccoli bozzetti acustici (They Call Me Hank,
la dolce We've Still Got Time, una Just
One Hand che viaggia sul velluto fra acustiche e accordion) che avremmo
sentito mille volte. Might Be a Train da una
spruzzata di vispo hillbilly rock, bilanciando la scaletta, mentre Everything
Will Be Just Fine chiude con una rassicurazione, fin dal titolo. Insomma,
un po' come la musica di Greg Trooper. (Fabio Cerbone)