Rainville
The Longest Street in America
Rainville 2002


1/2


Che rabbia sapere che un disco come The Longest Street in America (un titolo che spiega più di tante parole) riuscirà ad arrivare nella mani di pochi fortunati, vuoi per la difficilissima distribuzione, vuoi per la concorrenza esorbitante. Speriamo di non fare torto a nessuno se proponiamo un'uscita discografica di complicata reperibilità, anche perché i Rainville si meritano veramente un posto al sole nell'universo Americana. Sono al secondo episodio della loro carriera e hanno fatto passi da gigante: rispetto al promettente esordio, Collecting Empties, di due anni fa, hanno aggiustato i suoni e la produzione, creando un "road record" ricco di suggestioni alternative-country, rock operaio e ballate folk. E così mi ritrovo tra i piedi un'altra roots band di provincia, ma questa volta, nonostante i mille riferimenti, c'è un carattere forte e le canzoni sono mature. John Common è il faro di questa formazione di Denver: i Rainville si potrebbero considerare un veicolo per le sue composizioni, a metà strada tra una vera rock'n'roll band e le caratteristiche di cantautore di Common, che inoltre ha una voce tra le più emozionanti che mi sia capitato di sentire ultimamente, arsa dal sole del deserto americano. Gran parte dei brani contribuisce a creare la sensazione di un lavoro concepito sulla strada: titoli come Wrong Way, The Road Between Two Towns, Let Me Come Back Home o la conclusiva, gioviale Get In The Car And Drive hanno il mito delle highways nelle vene. Roots-rock robusto ma mai oltre il lecito: ad un rock'n'roll tutto energia come Wasted Away o un country-rock del tipo di Five Dollar Shower corrispondono le atmosfere rarefatte di The Road Between Two Town e Real Man, le struggenti ballate Wrong Way e Can't Hide (il vertice dell'intero disco per il sottoscritto), o le ambientazioni blues un po' waitsiane di How 'Bout You. Meriterebbero veramente di essere conosciuti da un pubblico più vasto
(Davide Albini)

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