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1981
Joe Ely
 Musta Notta Gotta Lotta  [MCA]

Il "ruvido" Joe Ely, coniugando r&r, rockabilly e honky tonk, dispensa adrenalina pura e mette a dura prova le nostre coronarie con un disco nel quale le sue canzoni non sfigurano a confronto con le covers di Jimmie Gilmore (qui anche ai cori), Butch Hancock ed altri r&rollers d'annata; niente di nuovo, i modelli sono sempre Jerry Lee Lewis, Delbert McClinton e Roy Orbison, ma le cavalcate chitarristiche di Jesse Taylor, dello stesso Ely e la steel guitar di Lloyd Maines impazzano per tutto il disco lasciando la classica sensazione di un già sentito di qualità superiore e poi……la bella voce del nostro Joe che , come da copertina, è bello, perdente e comunque sa scrivere una grande pagina di puro American R&R. (GZ)

Take #2, prova anche: Lord of the Highway (Hightone 1987)


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1981
Mink DeVille
 Coup de Grace  [Atlantic]

Partito dal rock urbano di New York e approdato alle ballate soul di Doc Pomus, Willy DeVille decise per il suo quarto album di dare un restyling al proprio gruppo travestendolo da E-Street Band, confezionando così il suo disco più muscoloso e tipicamente americano. Con il sax di Louis Cortelezzi impegnato ad essere il nuovo Clarence Clemmons e il piano di Kenny Margolis a lezione dal professor Roy Bittan, l'intruglio dei Mink DeVille a base di roots-rock, musica ispanica e soul perse molte delle asprezze degli esordi ma guadagnò in calore e pathos. You Better Move On di Arthur Alexander l'aveva cantata anche Mick Jagger quasi vent'anni prima, ma la versione vincente di Willy dimostrò che nessuno al mondo poteva cantare serenate con lo stesso credibile mix di machismo e romanticismo. (NG)

Take #2, prova anche: Miracle (A&M 1987)


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1981
The Plimsouls
 The Plimsouls  [Planet]

Un folksinger che presto diverrà un apprezzato autore, Peter Case, ancora insicuro scorazza per le strade della California, incontra tre teppisti del rock'n'roll (tra cui le chitarre affilate di Eddie Munoz) e nascono i Plimsouls. L'omonimo esordio è un fascio di nervi che esalta il battito sbarazzino della band: all'incrocio fra power pop irresistibile, influssi soul, una sezione fiati e molta elettricità figlia della rivoluzione punk di quei primi anni '80, The Plimsouls è un esordio ancora oggi freschissimo. Now, Zero Hour, Hush Hush rovistano nell'era beat e r&b e paiono la risposta americana ai Jam di Paul Weller: inutile ribadire che di loro si accorgeranno in pochi, anche se il viaggio avrà un seguito altrettanto valido per la Geffen (Everyone at Once) (FC)

Take #2, prova anche: Everyone at Once (Geffen 1983)


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1982
Bruce Springsteen
 Nebraska  [Columbia]

Nebraska è uno snodo sensibile nella storia di Bruce Springsteen perché focalizza il suo songwriting come mai prima. Il fatto che sia acustico e low-fi è del tutto relativo (anche perché gran parte delle canzoni di Born In The U.S.A. il cui sound sta all’opposto nascono nei dintorni): Nebraska ha una profondità nell’affrontare le storie e gli uomini e le donne dentro le storie che Bruce Springsteen ha poi ritrovato soltanto a sprazzi, in The Ghost Of Tom Joad o in Devils & Dust, ma sempre senza la cruda magia di quella copertina rubata a Chuck Berry. Un capolavoro inarrivabile e un turning point per chiunque voglia affrontare il mondo misterioso del songwriting. Una forma di resistenza umana e artistica più che radicale. (MD)

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1982
Elliott Murphy
 Murph the Surph  [Courtisane]

Legato alla maledizione del "nuovo Bob Dylan", Murphy resta uno dei cantautori più "schermati" della musica americana (ha pagato le dispute con la Columbia ed il grande sgarro fatto a New York con il trasferimento a Parigi); peccato perché, dopo due capolavori nei '70 quali Aquashow ('73) e Night Lights ('76), realizza, con questo disco, la sua prima opera da songwriter di razza e attraverso dieci canzoni manifesto ci consegna un lavoro che gli avrebbe dovuto dare anche il successo mediatico e non solo quello di musicista di culto. Comunque Murph the Surf resta nella storia del decennio per la sua cuvèe tra Bowie, Reed e Dylan oltre che per le sue magiche canzoni che lasciano le note sospese nell'aria (GZ)


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1982
The Gun Club
 Miami  [IRS]

Un'llucinata versione di Run Through the Jungle dei Creedence, trasformata in un sabba punk blues in piena regola, rispecchia la desolazione di Miami, il disco della consacrazione per Jeffrey Lee Pierce e i suoi Gun Club, complice la produzione di Chris Stein (Blondie). Il canto torturato sancisce l'incontro fra il lancinante dolore dell'America più periferica, quella del country blues sudista, e il fervore della scena post punk. Un monolite ancora oggi inscalfibile, che detta le regole per gran parte dell'alternative rock a venire: tra la richiesta disperata di Carry Home e l'eco lontana e declamatoria di Mother of Earth, Miami mostra il cuore sanguinante di Pierce e la sua follia umana (FC)

Take #2, prova anche: Fire of Love (Slash 1981)


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1982
Little Steven
 Men Without Women  [Capitol]

Men Without Women non è stato soltanto l’esordio di Little Steven alias Steve Van Zandt, uno straordinario e unico rock’n’roll heart, piuttosto la celebrazione di quel mondo da cui proveniva lo stesso Bruce Springsteen e che da lì in poi, visto il successo di Born In The U.S.A., era destinato a vivere di luce riflessa. Non per questo però mancava di una dignità, anzi. Ci sono tutti in questo ultimo ballo di Asbury, dalla E Street ai Jukes fino a Gary U.S. Bonds e in prospettiva sembra proprio un grande party d’addio. Con un songwriter, magari non prolifico o profondo come Springsteen, ma in grado di regalare grandi emozioni. Rock’n’roll, rhtythm and blues e Princess Of Little Italy, una ballata per sempre. Una gemma da riscoprire. (MD)

Take #2, prova anche: Voice of America (EMI 1984)


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1982
Marshall Crenshaw
 Marshall Crenshaw  [Warner]

Per Marshall Crenshaw rock'n'roll significa soprattutto Brooklyn, ragazze, Beatles ed Everly Brothers. Una filosofia basilare che trova la sua espressione più compiuta in questo delizioso album d'esordio, cui non serve altro che l'effervescenza compatta di basso, chitarra e batteria per declamare il power-pop di Rockin' Around In NYC, il rock'n'roll anni '50 di Mary Anne, il jingle-jangle travolgente di Cynical Girl. Someday, Someway diverrà persino una hit, ma nelle mani di qualcun altro; già dal successvo Field Day (1983), difatti, inizierà a serpeggiare il dubbio (in seguito smentito soltanto dal discreto Good Evening ['89]) che nonostante gli occhiali alla Buddy Holly e l'attitudine alla replica wharoliana degna di un Elvis Costello Crenshaw avesse detto tutto, e con freschezza irripetibile, nelle dodici canzoni del suo omonimo debutto. (GC)

Take #2, prova anche:  Downtown (Warner 1985)


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1982
Rank and File
 Sundown  [Slash]

Sono ancora i carboni ardenti del punk californiano a generare un altro diversivo tradizionalista, che al tempo qualcuno oserà persino chiamare cowpunk. I fratelli Chip e Tony Kinman armonizzano avendo in testa la rivoluzione sixties del folk rock, il lascito di qualche vecchio vinile honky tonk e le serate alla Grand Ole Orpy. Ne scaturisce un esordio, Sundown, di vivace rock'n'roll aggroviglaito ad un'anima country&western e all'inconfondibile twang sound delle chitarre. In formazione, per un breve periodo, anche Alejandro Escovedo, che allinea magicamente il suo estro a quello dei Kinman per una stagione troppo breve. Durerà un secondo infatti il loro piccolo momento di gloria, giusto il tempo di allineare le limpide melodie di Amanda Ruth e The Conductor Wore Black (FC)

Take #2, prova anche: Long Gone Dead (London 1984)


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1982
Wall of Voodoo
 Call of the West  [IRS]

Piccole vite e piccoli sogni imprigionate in una Los Angeles da film noir, una scrittura densa e narrativa, una musica che procede per immagini, quasi avesse un taglio cinematografico. Volevano scrivere colonne sonore i Wall of Voodoo, quando nacquero nel magma del post punk californiano, alla fine Stan Ridgway ci sarebbe persino riuscito, nonostante il cuore della sua opera risieda per sempre all'interno di queste tetre ballate. Call of the West è uno strano ibrido fra antico e moderno, fra radici e tecnologia: il battito freddo dei sintetizzatori, l'atmosfera plumbea della new wave avvolti dalla eco lontana di una armonica e i rintocchi di una chitarra impastata di country rock. Durante questo viaggio ai confini della civiltà sbuca una Mexican Radio captata fra le onde dell'etere. (FC)

Take #2, prova anche: Dark Continent (A&M 1981)



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