In principio è un feedback di hendrixiana memoria, poi arriva un
riff granitico che è un'ode all'essenza stessa del rock'n'roll:
chitarra e batteria bastano e avanzano per Dan Auerbach e Patrick
Carney. Thickfreakness è un sabba ritmico guidato
da un'elettrica che bada a riempire i vuoti, giocando sulle rozze note
del delta-blues più viscerale, quello tanto familiare in casa Fat
Possum e trasformandolo in "white noise". Rumore bianco di due
giovanotti che sono cresciuti nell'anonima Akron, Ohio e i juke-joints
del profondo Sud li hanno solo sognati tra le mura della loro stanza.
Fino ad oggi tappa secondaria nella storia della musica popolare americana,
Akron è nota soprattutto per i Devo, maestri del nonsenso new-wave.
Ora però ci sono i Black Keys e i fatti potrebbero assumere
una svolta decisiva: niente di epocale, si capisce, ma i quaranta minuti
scarsi del loro secondo lavoro (The Big Come Up l'esordio di due anni
fa) sono un pugno nello stomaco alle indigeste smancerie produttive della
moderna pop music. Francamente rappresentano anche una bella lezione di
stile per tutti questi presunti revivalisti dell'ultima ora: altro che
White Stripes, Strokes e compagnia cantante, basterebbe l'adrenalina blues-rock
di Hard Row per zittire tutti. Auerbach, giovanissimo, canta con
una voce dalle dinamiche ben più mature: negroide, cruda, è
il completamento ideale della sue chitarra, un piccolo riassunto di cinquant'anni
di rock'n'roll. Carney ci mette del suo, con una batteria ridotta all'osso
ed una produzione che praticamente non esiste. Sentiteli formare un "wall
of sound" di straordinaria efficacia in Set You Free, punk-blues
sulla linea di Jon Spencer, o nella cover di Richard Berry Have Love
Will Travel. Hurt Like Mine, If You See Me e l'insistente
lavoro di slide in Hold Me in Your Arms sono ruvide convulsioni
blues sulla scia di gente come T-Model Ford e R.L.Burnside. Si svela finalmente
tutta la loro devozione per questi ultimi custodi viventi del verbo del
Mississippi, tanto da omaggiare l'immenso Junior Kimbrough nell'ipnotica
Everywhere I Go. Il sipario cala con un messaggio eloquente: in
I Cry Alone resta solo lo scheletro malmesso della canzone, l'essenza
sono il ritmo e i silenzi...i Black Keys hanno capito tutto del rock'n'roll
e noi faremmo bene a seguirli
(Fabio Cerbone)
www.theblackkeys.com
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