Blush Music, musica che scolora nel rosso del tramonto,
musica che splende di una luce tetra, che ricalca le stesse sensazioni
generate dal canto tormentato e luciferino di David Eugene Edwards,
unico vero artefice di questo progetto, sorto parallelamente alle gesta
delle sua principale attività, i Sixteen Horsepower. Ad un solo
anno di distanza dal debutto, Woven
Hand ritorna con un nuovo affascinante capitolo di folk-rock
inquietante, dove le radici pių rurali del personaggio (quel misto di
cultura folk e country sudista in cui è cresciuto Edwards) vengono
corrose da una attitudine sperimentale, frutto di rock alternativo (White
Bird) ed avanguardia (la tradizione country e bluegrass viene fatta
letteralmente a pezzi, per esempio, in Cripplegate). Lunghe suite,
rumori sinistri sullo sfondo e stridenti melodie accompagnano canzoni
lugubri, concepite certamente dalla mente di un autore che ama sconfinare
nei lati oscuri dell'animo umano e che sembra averci preso gusto. La presenza
di alcuni intermezzi strumentali serve a tenere le fila di un discorso
affascinante, ma costantemente sull'orlo del precipizio. Concepito come
colonna sonora di uno spettacolo teatrale ad opera del coreografo belga
Wim Vandekeybus (che in passato si era servito di altri illustri musicisti,
tra i quali David Byrne), Blush Music non possiede una struttura solida,
risultando infine meno convincente ed unitario del precedente episodio.
Numerosi i brani ripresi dal primo lavoro, qui riproposti in versione
espansa: sintomatica la cover del classico soul Ain't No Sunshine,
trasformata in una interminabile cavalcata per l'inferno, cosė come le
gemelle Your Russia (without hands) e My Russia (standing on
hands), avvolte nei toni depressi che caratterizzano tutto il disco,
idealmente chiuso dalla magia della pianistica Story and Pictures.
Blush Music funziona come campo di sperimentazione per il songwriting
contorto di Edwards, ma si rivolge pricipalmente a chi ne ha già
apprezzato le gesta in passato
(Fabio Cerbone)
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