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E' capitato anche ad altri suoi illustri colleghi di perdersi per strada,
per quelli che un tempo definivano i nuovi Dylan era diventata quasi una
tappa obbligata. Ora che sono trascorsi trent'anni esatti dall'esordio
di Aquashow (era il 1973), possiamo ben dire che il tempo è tornato
dalla parte di Elliott Murphy: sprezzante del pericolo questa volta
ha persino sciorinato un doppio cd, ventitrè canzoni (compresa
una bonus track), più di due ore di musica, che rappresenta in
qualche modo la summa del nuovo corso inaugurato qualche anno fa con Beauregard.
Da quel disco in poi si è sviluppata infatti una formula elettro-acustica
che ha messo in risalto arrangiamenti scarni e suoni notturni, esaltando
la quintessenza della ballata urbana. Quell'impasto di chitarre acustiche
condivise con l'amico Olivier Durand, il piano di Thomas Schaettel
e la fisarmonica di Kenny Margolis sono un marchio che abbiamo
imparato a riconoscere ed apprezzare attraverso i precedenti Rainy Season
e Soul
Surfing. Il rischio, già rilevato in occasione di quest'ultimo,
era quello di restare ancorati sempre alle stesse intuizioni e melodie.
Strings of the Storm non elimina il problema e non si avventura
su sentieri inesplorati, ma copre le eventuali riserve critiche grazie
ad una qualità media delle canzoni che supera di gran lunga le
uscite precedenti. Inevitabile che durante il percorso si possano incontrare
cedimenti (le cover di Birds di Neil Young e del classico The
Banks of the Ohio non appaiono strettamente necessarie), qualche riempitivo
nel secondo disco (Look Around You, Moan) o semplicemente
episodi più di routine: è difficile, anche per un fuoriclasse
come Elliott Murphy, mantenere alta l'attenzione. Sono dettagli in ogni
caso: registrato negli studi di Florent Barbier (protagonista anche
alle percussioni) a Le Havre, Strings of the Storm è un disco dal
grande respiro, che ha il pregio di essersi formato sulla strada: canzoni
scritte durante le interminabili tournè in giro per l'Europa, fianco
a fianco con Olivier Durand, che riflettono emozioni spesso intime, altre
volte racconti di vita e amare riflessioni sulla situazione sociale e
politica che sta attraversando il mondo (da qui l'omaggio della bonus
track con Ground Zero). E' stata rigenerante questa scrittura on
the road, perchè il suono ne è uscito più convincente
e corposo, assolutamente vitale: l'elettricità di Green River
e Big Sky non si sentiva da tempo in un disco di Murphy; Night
Falls, A Mountain of Love e Cutting the Cake sono ballate
di una mirabile limpidezza melodica; Le Future, Temple Bar,
Everybody Got Lucky hanno quel sapore elegante e tutto europeo
di un folksinger americano che canta lungo i viali di Parigi. Il gruppo
suona a memoria, Kenny Margolis e Ernie Brooks sono due vecchie
volpi che sanno cosa offrire al loro capobanda, mentre Olivier Durand
si conferma chitarrista versatile, in grado di colorare di soul Mick's
Dream, inventarsi una baritone guitar nel rock'n'roll di O Catarina
e sperimentare un po' di psichedelia nell'allucinata The Poet and The
Priest. La prolificità e la perseveranza che Elliott Murphy
sta dimostrando in questi ultimi anni è qualcosa di prodigioso:
l'incontro con Olivier Durand, chitarrista e spalla ideale delle sue notti
parigine, sembra avergli ridato fiducia
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