Elliott Murphy - Strings of The Storm Many/Venus 2003 1/2

E' capitato anche ad altri suoi illustri colleghi di perdersi per strada, per quelli che un tempo definivano i nuovi Dylan era diventata quasi una tappa obbligata. Ora che sono trascorsi trent'anni esatti dall'esordio di Aquashow (era il 1973), possiamo ben dire che il tempo è tornato dalla parte di Elliott Murphy: sprezzante del pericolo questa volta ha persino sciorinato un doppio cd, ventitrè canzoni (compresa una bonus track), più di due ore di musica, che rappresenta in qualche modo la summa del nuovo corso inaugurato qualche anno fa con Beauregard. Da quel disco in poi si è sviluppata infatti una formula elettro-acustica che ha messo in risalto arrangiamenti scarni e suoni notturni, esaltando la quintessenza della ballata urbana. Quell'impasto di chitarre acustiche condivise con l'amico Olivier Durand, il piano di Thomas Schaettel e la fisarmonica di Kenny Margolis sono un marchio che abbiamo imparato a riconoscere ed apprezzare attraverso i precedenti Rainy Season e Soul Surfing. Il rischio, già rilevato in occasione di quest'ultimo, era quello di restare ancorati sempre alle stesse intuizioni e melodie. Strings of the Storm non elimina il problema e non si avventura su sentieri inesplorati, ma copre le eventuali riserve critiche grazie ad una qualità media delle canzoni che supera di gran lunga le uscite precedenti. Inevitabile che durante il percorso si possano incontrare cedimenti (le cover di Birds di Neil Young e del classico The Banks of the Ohio non appaiono strettamente necessarie), qualche riempitivo nel secondo disco (Look Around You, Moan) o semplicemente episodi più di routine: è difficile, anche per un fuoriclasse come Elliott Murphy, mantenere alta l'attenzione. Sono dettagli in ogni caso: registrato negli studi di Florent Barbier (protagonista anche alle percussioni) a Le Havre, Strings of the Storm è un disco dal grande respiro, che ha il pregio di essersi formato sulla strada: canzoni scritte durante le interminabili tournè in giro per l'Europa, fianco a fianco con Olivier Durand, che riflettono emozioni spesso intime, altre volte racconti di vita e amare riflessioni sulla situazione sociale e politica che sta attraversando il mondo (da qui l'omaggio della bonus track con Ground Zero). E' stata rigenerante questa scrittura on the road, perchè il suono ne è uscito più convincente e corposo, assolutamente vitale: l'elettricità di Green River e Big Sky non si sentiva da tempo in un disco di Murphy; Night Falls, A Mountain of Love e Cutting the Cake sono ballate di una mirabile limpidezza melodica; Le Future, Temple Bar, Everybody Got Lucky hanno quel sapore elegante e tutto europeo di un folksinger americano che canta lungo i viali di Parigi. Il gruppo suona a memoria, Kenny Margolis e Ernie Brooks sono due vecchie volpi che sanno cosa offrire al loro capobanda, mentre Olivier Durand si conferma chitarrista versatile, in grado di colorare di soul Mick's Dream, inventarsi una baritone guitar nel rock'n'roll di O Catarina e sperimentare un po' di psichedelia nell'allucinata The Poet and The Priest. La prolificità e la perseveranza che Elliott Murphy sta dimostrando in questi ultimi anni è qualcosa di prodigioso: l'incontro con Olivier Durand, chitarrista e spalla ideale delle sue notti parigine, sembra avergli ridato fiducia
(Fabio Cerbone)


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