La
semplicità, la ricerca di una comunicazione senza filtri, sono
le parole chiave per comprendere la fragile bellezza del terzo lavoro
degli Okkervil River. Non si tratta di una novità assoluta,
è vero, il disco è sul mercato da diversi mesi ormai. E'
valsa la pena però ritornare sui nostri passi e fare luce su queste
ballate struggenti, che hanno ricevuto una buona accoglienza anche sulla
stampa nazionale. Poco ci importa di arrivare in seconda battuta: non
è mai troppo tardi per riscoprire dischi che possiedono un fascino
dimesso come Down the River of The Golden Dream. Il titolo
è già di per sè un invitante prologo: gli Okkervil
River richiamano da subito atmosfere sognanti che si palesano poi nel
loro limpido folk-rock. L'intuizione di Will Sheff (voce e chitarre)
è di arricchire queste canzoni con piccoli dettagli, usando una
vasta gamma di strumenti e mantenendo comunque un'impronta acustica, roots
diremmo. Originari del New Hampshire e ristabilitisi ad Austin in cerca
di maggiori consensi, gli Okkervil River hanno completato l'organico con
gli inserimenti essenziali di Zachary Thomas (basso, mandolino)
e soprattutto di Jonathan Meiburg, che con piano, organo hammond,
mellotron, fender rhodes e wurlitzer lascia un segno indelebile sulle
canzoni della band. Giusto il tempo di far quadrare il nuovo assetto attraverso
i due precedenti tentativi, Stars Too Small to Use Orchard (2000) e Don't
Fall in Love With Everyone You See (2002), un'apparizione al ben noto
South by The Southwest festival e finalmente la piena maturità
raggiunta in Down the River of The Golden Dream. Il quale si apre con
l'omonimo strumentale, un piano e una melodia da vecchio saloon del West
che introduce alle radici del gruppo. Non si tratta però, badate
bene, di un discorso strettamente alternative-country, vicino al rock
rurale della provincia americana (ad eccezione forse della chiusura affidata
alla country-oriented Seas Too Far to Reach): la sensibilità
degli Okkervil River appare più complessa, pur nell'estrema semplicità
dei loro arrangiamenti. Sembrano ispirarsi fedelmente alla pastorale carica
di The Band, innestando sulla solida base di chitarre acustiche, organi
grondanti di soul, piccole sezioni d'archi, e qualche strumento a fiato
(nella strepitosa Blanket and Crib). Nello stesso tempo si allineano
perfettamente a certo new-folk americano (Songs: Ohia, sopratutto, Will
Oldham, in parte), con la giusta dose di depressione e malinconia a fare
da guida in Maine Island Lovers e Yellow. La voce straziante
di Sheff è l'ideale accompagnamento per brani dalla forte emotività
quali It Ends With a Fall e For the Enemy (con un finale
in crescendo che mette i brividi), in grado di passare da toni crepuscolari
a improvvisi momenti di trasporto (in Song About a Star sembra
persino di ascoltare dei Counting Crows un po' più acerbi). Non
finiremo mai di stupirci delle capacità di questi giovani musicisti
americani nel riadattare e dare nuova spinta alle radici folk del loro
passato
(Fabio Cerbone)
www.okkervilriver.com
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