Ci sono songwriter che, pur restando assolutamente fedeli ad un linguaggio tradizionale,
riescono ad evitare molti luoghi comuni privilegiando aspetti inediti della loro
della scrittura. Steve Owen ha tutta l'aria di appartenere a questa razza
in estinzione. Per lo meno ci aveva lasciato in testa queste sensazioni dopo la
piacevole sopresa di Like
an Atheist in Nashville, una delle rivelazioni roots del 2001. Un titolo
un po' beffardo che suonava proprio come una dichiarazione d'intenti, un manifesto
insomma della provincia cantautorale americana. Disco profondo e scanzonato al
tempo stesso, che non andava in cerca di soluzioni ad effetto, ma serviva un country-rock
grezzo, informale e un po' alcolico, tutto incentrato sull'ironia a tratti corrosiva
dei testi. The Turlok 2 rompe un lungo silenzio (quattro dischi
a partire dal '93...Owen è uno che se la prende comoda), riportando a galla
la personalità esuberante di questo autore originario dell'Illinois (ma
trasferitosi da tempo in California), esempio calzante di folksinger di vecchio
stampo. Rispetto al precedente lavoro tuttavia, gli intenti sembrano essere parecchio
ridimensionati, una ritirata nei canoni essenziali di un country-folk acustico
e spoglio negli arrangiamenti, che se da un parte ha il merito di mettere in primo
piano le liriche, dall'altra mostra un po' la corda nella monotonia delle ambientazioni
musicali. Sempre coadiuvato dall'amico Patrick Conway in sede di registrazione,
Steve Owen imbastisce un trio di scarno country campagnolo (David Reidy
e Kurt Stevenson che si alternano i compiti tra chitarre, mandolini, dobro,
fiddle, basso e piano), in cui la sezione ritmica è ridotta al lumincino
e gran parte delle responsabilità ricade sulla voce strascicata del protagonista.
Immagini da vecchia America scorrono sullo schermo durante l'ascolto di Harry
Fogelberg's Blues, A Pair of Brown Shoes o della dolce Far From
Here. Ricordano da vicino i lineamenti country-blues di John Prine (I'm
Sorry Jimmie Rodgers), nonostante le radici rurali di Owen siano assai più
accentuate: lo testimoniano il bluegrass di Today is The Day e la tenebrosa
Appalachian song di What makes the World Go Round? condotta per mano dal
banjo. Il feeling è indiscutibilmente old-time, canzoni da bivacco (Alcohol
& Power Tools, talmente divertente da meritare due versioni), una birra
ghiacciata e qualche amico sotto il portico di campagna. Tutto questo non basta
però a scacciare i dubbi: The Turlock 2 conserva una buona onestà
di fondo, ma da Steve Owen ci si poteva aspettare di più (Fabio
Cerbone) www.steveowen.com
www.milesofmusic.com
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