Thalia
Zedek è nota soprattutto per la sua militanza fra i Bostoniani Come,
band formatasi nel 1990 e con all'attivo quattro dischi. Lei e Chris
Brokaw erano il motore di quella formazione, che si cimentava
in una miscela di blues-rock e post-punk. Dal 2001, la Zedek ha intrapreso
però la carriera solista: la vena oscura e gli sconvolgimenti musicali
sono ancora il fulcro del suo lavoro, che ha per titolo Trust Not
Those In Whom Without Some Touch Of Madness. L'aria dark, in perfetto
stile Nick Cave, è la costante che alimenta i ritmi crepuscolari, ipnotici
e feroci, che emergono dalle melodie di questo disco. Fondendo le parole
in una cantilena stonata, con una voce pungente ed affilata (anche mascolina,
ma purtroppo non corposa e calda come quella di Cave), la Zedek elabora
undici pezzi sofferti, sui quali regna un grigiore diffuso, inquietante,
che scuote gli animi anche per l'accompagnamento elementare di una chitarra
secca e di un violino in stile Warren Ellis (ma a suonarlo è David
Michael Curry). Il mainstream della Zedek e il suo background urbano
affondano le radici nel punk, in Lou Reed, nel cantautorato poetico di
Dylan e in quello nobile e raffinato di Cohen. L'omaggio ai tre gotha
è stato infatti tributato nei suoi precedenti lavori da solista: in quello
d'esordio, intitolato Been Here And Gone (2001), incise Dance Me To The
End Of Love di Cohen; mentre, nell'EP del 2002, You're A Big Girl Now
di Dylan (che è la canzone che dà anche il titolo alla raccolta stessa)
e Candy Says dei Velvet Underground. Ora la cantante concentra le proprie
energie su di un materiale piuttosto omogeneo e del tutto originale: a
dare spessore alle ballate, dissonanti e cupe, in perfetto stile murder-ballads,
è anche il pianoforte di Mel Lederman, usato meticolosamente (e
senza abusarne) nell'introduttiva Ship, così come in Evil Hand,
Since Then, Virginia ed Angels. Trust Not Those In
Whom Without Some Touch Of Madness non è fatto da voci soliste, né possiede
tracce facili. Solo tre sono i brani che sembrano suonare in maniera differente:
Island Song e il suo lugubre walzer; l'acustica Bone; e
il country-blues (sempre e comunque gotico) di Brother. "Non
fidarti di coloro che non hanno in se stessi un pizzico di follia"
è ciò che la Zedek ci consiglia, dall'alto della sua eccentricità retrò.
La sensazione, dopo quest'oretta di musica, è che lei voglia indirizzare
il proprio lavoro anche alla New York sotterranea, notturna e raffinata
della seconda metà degli anni Sessanta, come se facesse parte della Factory
di Warhol. Qui, il pre-punk si fonde con il post: maledizioni, isterismi
e un suono semplicemente affascinante e noir diventano un baluardo musicale.
(Carlo Lancini)
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