My Morning Jacket - Z Ato/ Sony 2005 1/2
inserito 14/12/2005

Il percorso è stato lungo, forse anche lento, almeno a giudicare dal numero impressionante di ep e singoli stracolmi d'inediti usciti a corollario di quattro album ufficiali, ma adesso si può affermare che i My Morning Jacket da Louisville, Kentucky, sono diventati a tutti gli effetti una delle migliori american-bands in circolazione. Le canzoni di Z, uscito negli States qualche mese fa e accolto da un coro unanime di consensi, esaltano come mai prima d'ora il gusto psichedelico, visionario e onirico che costituisce la principale cifra stilistica della band, nonché la sua caratteristica più originale. Il canonico tradizionalismo dei primi album sembra ormai archiviato del tutto, confinato com'è nel ruolo di mero punto di partenza per brani cui interessa soprattutto liberarsi in romantiche fughe strumentali o perdersi in ammalianti ghirigori di tastiere che ricordano smaccatamente certo rock radiofonico degli anni '70; eppure, questo non significa che la scrittura di Jim James, al solito accompagnato da Two Tone Tommy Blackenship (basso), Patrick Hallahan (batteria), Carl Broemel (eccezionale chitarra) e Bo Koster (piano) sia stata colpita da un'improvvisa diminuzione di peso specifico. Nella riuscita del disco, buona parte del merito va ascritta alla produzione del veterano John Leckie, di cui quasi tutti hanno ricordato i lavori al fianco di George Harrison, Pink Floyd, Radiohead, New Order o Xtc, senza però tirare in ballo quella che per i My Morning Jacket sembra al sottoscritto l'influenza più evidente, più evidente di quella dei citatissimi (e in ogni caso percepibili) Flaming Lips e Mercury Rev: mi riferisco ai canadesi Lucy Show, formazione ottantesca d'impronta post-punk capace d'immergersi in abissi di cupezza e meditazione senza perdere di vista la colorata tavolozza delle melodie. Che è poi, come dimostrano l'incedere agrodolce della ballata Knot Comes Loose o l'impianto bandistico della fosca Into The Woods, la qualità più intrigante degli stessi My Morning Jacket. Notevolissima è anche la conclusiva Dondante (con una partenza minimalista che dopo quattro minuti si infiamma in un epico crescendo rock), assieme a It Beats 4 U e Wordless Chorus l'esempio più probante del "nuovo corso" del gruppo, fatto di scenari impressionisti e stratificazioni di tastiere, sensualità soul e perturbazioni rock, mentre il battito serrato della kinksiana What A Wonderful Man, di una Off The Record in odor di reggae o della travolgente Anytime rimanda al passato prossimo, portando però in dote un soffio di freschezza inedita. La vena dei My Morning Jacket si mantiene felice per tutto l'album, e mi pare che, alla luce del lirismo à la REM di una Gideon o dei 6 minuti di sconquasso chitarristico di una Lay Low, non ci sia davvero motivo per abbandonarsi alla nostalgia del bel tempo che fu. Anche perché, almeno per quanto riguarda i My Morning Jacket, il presente è decisamente più affascinante e significativo.
(Gianfranco Callieri)

www.mymorningjacket.com