Il percorso è stato lungo, forse anche lento, almeno a giudicare dal numero
impressionante di ep e singoli stracolmi d'inediti usciti a corollario
di quattro album ufficiali, ma adesso si può affermare che i My Morning
Jacket da Louisville, Kentucky, sono diventati a tutti gli effetti
una delle migliori american-bands in circolazione. Le canzoni di Z,
uscito negli States qualche mese fa e accolto da un coro unanime di consensi,
esaltano come mai prima d'ora il gusto psichedelico, visionario e onirico
che costituisce la principale cifra stilistica della band, nonché la sua
caratteristica più originale. Il canonico tradizionalismo dei primi album
sembra ormai archiviato del tutto, confinato com'è nel ruolo di mero punto
di partenza per brani cui interessa soprattutto liberarsi in romantiche
fughe strumentali o perdersi in ammalianti ghirigori di tastiere che ricordano
smaccatamente certo rock radiofonico degli anni '70; eppure, questo non
significa che la scrittura di Jim James, al solito accompagnato
da Two Tone Tommy Blackenship (basso), Patrick Hallahan
(batteria), Carl Broemel (eccezionale chitarra) e Bo Koster
(piano) sia stata colpita da un'improvvisa diminuzione di peso specifico.
Nella riuscita del disco, buona parte del merito va ascritta alla produzione
del veterano John Leckie, di cui quasi tutti hanno ricordato i
lavori al fianco di George Harrison, Pink Floyd, Radiohead, New Order
o Xtc, senza però tirare in ballo quella che per i My Morning Jacket sembra
al sottoscritto l'influenza più evidente, più evidente di quella dei citatissimi
(e in ogni caso percepibili) Flaming Lips e Mercury Rev: mi riferisco
ai canadesi Lucy Show, formazione ottantesca d'impronta post-punk capace
d'immergersi in abissi di cupezza e meditazione senza perdere di vista
la colorata tavolozza delle melodie. Che è poi, come dimostrano l'incedere
agrodolce della ballata Knot Comes Loose o l'impianto bandistico
della fosca Into The Woods, la qualità più intrigante degli stessi
My Morning Jacket. Notevolissima è anche la conclusiva Dondante
(con una partenza minimalista che dopo quattro minuti si infiamma in un
epico crescendo rock), assieme a It Beats 4 U e Wordless Chorus
l'esempio più probante del "nuovo corso" del gruppo, fatto di scenari
impressionisti e stratificazioni di tastiere, sensualità soul e perturbazioni
rock, mentre il battito serrato della kinksiana What A Wonderful Man,
di una Off The Record in odor di reggae o della travolgente Anytime
rimanda al passato prossimo, portando però in dote un soffio di freschezza
inedita. La vena dei My Morning Jacket si mantiene felice per tutto l'album,
e mi pare che, alla luce del lirismo à la REM di una Gideon o dei
6 minuti di sconquasso chitarristico di una Lay Low, non ci sia
davvero motivo per abbandonarsi alla nostalgia del bel tempo che fu. Anche
perché, almeno per quanto riguarda i My Morning Jacket, il presente è
decisamente più affascinante e significativo.
(Gianfranco Callieri)
www.mymorningjacket.com
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