Jude Johnstone - On a Good Day BoJack 2005 1/2
inserito 19/05/2005

Visto che bazzicate da queste parti dovreste saperlo meglio di me: tra gli appassionati di musica spesso la sensazione più ricercata non è quella della sorpresa, il brivido elettrico procurato da un'oggettiva novità o da una scoperta sensazionale. C'è ovviamente un altro tipo di brivido, più intimo e familiare anche se non meno intenso, che deriva dal trovarsi faccia a faccia con abitudini, costanti tematiche e sonorità familiari magari tanto apprezzate in passato. A questo punto, cioè di fronte al consueto, può scattare un meccanismo di identificazione e complicità che ci porta ad apprezzare in maniera incondizionata anche certi canoni ormai desueti (talvolta solo un po' fuori moda), soprattutto se riletti con freschezza e vivacità. Tutto questo per dire che un disco come quello di Jude Johnstone, a seconda della prospettiva da cui lo si guarda, potrebbe brillare come oro oppure annerire le mani come il carbone. Lei non è certo una sprovveduta. On A Good Day è soltanto il suo secondo album (Coming Of Age è faccenda di due anni fa), ma i più avveduti tra voi sapranno che la sua Unchained aveva avuto l'onore di intitolare il secondo album di Johnny Cash in casa American Recordings e altri suoi brani autografi sono stati portati al successo da Trisha Yearwood, Jennifer Warnes o Stevie Nicks. Comunque è una signora californiana sui quarant'anni, benedetta dalla presenza di due figli e con un debito d'ispirazione grosso così nei confronti di quanto cantato e registrato durante gli anni '70 da Jackson Browne e i suoi amici west-coasters. Debito che a quanto pare si è tradotto in mutua ammirazione, dacché ad accompagnare Jude in questa seconda avventura solista ci sono, fra gli altri, Bonnie Raitt, Julie Miller e Rodney Crowell, tutta gente la cui stima, com'è noto, non viene regalata al primo arrivato. E del resto le canzoni di On A Good Day sembrano proprio saltar fuori dal cuore grande degli anni '70, da quell'epoca di autori, cantautori e altri patiti della chitarra che, scoperta l'elettrificazione, hanno saputo dar voce ai sogni e alle speranze di un'intera generazione. Posso assicurarvi che durante Hold On, che già di suo è una meraviglia di rock-ballad e di rifinitura nell'arrangiamento, quando sentiamo sbucare l'ugola inconfondibile di Jackson Browne ai cori, be', l'emozione è fortissima, anche perché si tratta di un brano che davvero non avrebbe sfigurato tra i solchi di The Pretender. Stesso discorso per una Long Way Back che avrebbe impreziosito un disco qualsiasi tra i migliori di Crosby & Nash, per la notturna Deep Water e per le tribolazioni personali cantate nella sublime Hard Lesson. Certo, nulla che Brother Jackson non abbia già interpretato, e probabilmente meglio, all'incirca trent'anni fa. Ma che diamine, che c'è di male, in fondo, nel ritornare con un po' di dolcezza e onesta pietà sui propri passi di gioventù?
Chi è alla ricerca della novità a ogni costo passi pure oltre. Chi invece ritiene di non sentirsi in colpa ad indugiare ancora un po' sull'album dei ricordi non si dimentichi di dare una sbirciatina anche qui.
(Gianfranco Callieri)

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