Old No. Eight - Communist Country Old No.8 2005
inserito 23/05/2005

Si fa sul serio: bandiera americana rovesciata, un titolo, Communist Country, che andrebbe preso con un briciolo di ironia, ma soprattutto canzoni con titoli quali War Profiteer, All Our Leaders, Talkin' George W. Bush Jr. Blues. Gli Old No. Eight sono la frangia protestataria e ribelle dell'alternative country, un quintetto formatosi a Chicago nel '98 che con ostinazione porta avanti la contestazione folk, adattandola alle regole e ai suoni del moderno rock provinciale. Le ballate elettriche degli Old No. Eight sono crude e impregnate di soul, cercano qualche aggancio con il country straccione e spesso non disdegnano tirate al limite del punk. Sono già al quarto lavoro e dimostrano di avere una buona scrittura: merito soprattutto della voce e delle canzoni di Charlie Pierce (anche basso, piano e organo), impostazione baritonale e profonda che ricorda moltissimo Robert Fisher dei Willard Grant Conspiracy. Farina del suo sacco quasi tutta la prima parte del disco, la più interessante: svettano la suggestiva marcetta militare che accompagna il country rock di Dance on Graves, dedicata alla triste conta delle bare dei marines, una corale e commovente War on Drugs, la "younghiana", ruvida Blame Jesus per finire con l'appello anti pena di morte di Old Judge Scranton, altra ballata imbevuta di seventy rock. L'altra faccia degli Old No. Eight è nelle mani di Andy Levenberg (chitarre e voce) e Brian Koehler (chitarre, cori) che spostano il baricentro, a seconda delle esigenze dettate dalle storie, verso un country ruspante e un poco ridicolo (la citata Talkin' George W. Bush Jr. Blues), un rock'n'roll di stretta osservanza Rolling Stones (My American Dream, che recita: What's the hell is up to American dream?/ turns out it ain't all it's cracked up to be/ lonely and desperate or just down and out/ we're starting to learn what the dream's all about) oppure nei territori di un vero e proprio punk rock d'assalto (All Our Leaders, War Profiteer). Sono in realtà gli episodi più anonimi e sprecati, anche nelle liriche, le quali riprendono profondità, guarda caso con Pierce alla voce, nella drammatica elettricità di Dark Ages o nel country pastorale di Somewhere Down the Line. Il suono è livido, la produzione grezza, piena di imperfezioni, si bada al sodo, senza perdere di vista il senso epico di alcune canzoni. Un disco che non andrebbe in realtà snobbato per il suo intrinseco valore musicale, quello che spesso rischia di venire offuscato di fronte ad un primario impegno sociale: con qualche aggiustamento della rotta gli Old No. Eight possono ancora crescere
(Fabio Cerbone)

www.oldno8.com