The
Band of Heathens
Live
from Momo's
[Fat
Caddy 2006]
  1/2
Nata
come una collaborazione estemporanea, rivolta principalmente ad esaltare
le qualità dei singoli autori, The Band of Heathens si rivela al
contrario una piccola sorpresa, proprio per la capacità di superare l'interesse
particolare dando vita ad un suono collettivo. Live at Momo's,
frutto di due serate dello scorso marzo in quel di Austin, mette in mostra
quattro giovani talenti dell'area texana, senza per questo sacrificare
il nome della band alle mire personali dei protagonisti. Questi ultimi
sono una congrega assortita di songwriter dalle estrazioni più disparate,
uniti soltanto da una generica predilezione per le tradizioni americane:
Colin Brooks è il bluesman della situazione, una resonator guitar
che ricorda Chris Whitley ed una voce al catrame; Ed Jurdi un bostoniano
in trasferta che delizia con la sua vocalità southern soul; Gordy Quist
e Brian Keane i classici esempi di troubadours Made in Texas,
cresciuti alla scuola di Guy Clark e in pate di Lyle Lovett. Come vedete
un assortimento in grado di spaziare nei solchi dell'american music
con una certa apertura mentale. Erano partiti con una scaletta rigorosamente
separata, aiutati dal basso di Seth Whitney e dalle percussioni
di Eldridge Goins, sono finiti per mischiare le carte e mettersi
in gioco, elaborando ciascuno il repertorio dell'altro. Ne sono usciti
con un live record frizzante, concettualmente propenso alla jam ma mai
prolisso o esasperato tecnicamente: conta il feeling prima di ogni cosa
e lo si respira a pieni polmoni nel rock a tinte sudiste e bluesy di One
More Step, Bumblebee e No great Mistery, speziate di
soul dalle voci di Ed Jurdi e Colin Brooks. La cadenzata Jesus 'Scariot
Blues, country rock da grandi orizzonti, apre la prima finestra sul
texas: è Gordy Quist a prendere il timone, seguito a ruota dal collega
Brian Keane, che volge lo sguardo al honky tonk più godereccio con il
talkin' di Odysseus. L'intera combriccola resta coinvolta dalla
svolta roots proponendo una corale Ain't No More Cane, traditional
ereditato da Leadbelly. È la seconda cover della serata in coppia con
una rilettura molto singolare, diciamo pure irriconoscibile, di Anywhere
I Lay My head di Tom Waits, trasfigurata in una soul rock ballad di
grande eleganza. Chiusa questa parentesi altrui, è tuttavia il repertorio
originale a meritare e maggiori attenzioni: Hangin' Tree ad esempio, oscuro
desert blues dove la slide di Brooks alza polvere, il twangin' caratteristico
di Here's To You, firmata da Quist, la deliziosa southern ballad
Keep on Tryin' con Jurdi attore principale alla voce e piano, fino
all'encore jammato e trascinante di Jenny Was a Keeper, ospite
l'armonica di Guy Forsyth a tracciare un blues ritmato e sudaticcio,
degna chiusura di un'unione artistica che speriamo possa dare altri frutti
(Fabio Cerbone)
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