inserito
02/04/2007
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Ritornare
sul luogo del delitto per due autentici banditi del rock'n'roll quali
Dan Stuart e Steve Wynn è del tutto naturale: non
riescono a starsene lontano dai guai. Così, con un'operazione che
al tempo stesso ha il gusto della nostalgia e del puro divertimento, viene
tolta dalla soffitta la sigla Danny & Dusty, un binomio che
alla metà degli anni ottanta ha significato un lungo week end di
bevute e disordini country rock sfociato nello splendido ululato alcolico
di The Lost Weekend. Quel disco era la sublimazione di un'intera
stagione californiana, una riscoperta delle radici del rock'n'roll che
in molti poi avrebbero chiamato roots rock o in epoca più recente
alternative country. Allora aveva risposto all'appello la crema del Paisely
Underground: membri di Green on Red, Dream Syndicate e Long Ryders si
alternavano in studio sotto la guida spericolata di Danny e Dusty. Ventidue
anni dopo il fascino di Cast Iron Soul non può evidentemente
essere lo stesso, ne tanto meno il significato, eppure sarebbe ingeneroso
liquidarli come dei sopravvissuti. Innanzi tutto perchè Dusty (Steve
Wynn) ha onorato una carriera integerrima e ricca di soddisfazioni artistiche,
e il fuorilegge Danny (Dan Stuart) ha ritrovato la via del rock'n'roll
riformando i Green on Red per alcune date lo scorso anno (si veda Valley
Fever, Live At The Rialto, sempre per la Blue Rose), mostrando uno
smalto nella voce che rimanda direttamente ai giorni di gloria. Registrato
a Richmond, Virginia, con la supervisione del quotato JD Foster,
imbarcati nuovi musicisti come Bob Rupe (The Silos, Cracker) e
Johnny Hott (House of Freaks) nonchè vecchie conoscenze
(Chris Cacavas e Stephen MCCarthy), Cast Iron Soul è
un disco che brucia con meno urgenza e sposa un'idea più disillusa
e matura, senza peraltro lasciarsi dietro troppi rimpianti. Si ritrovano
come amici perduti, una pacca sulla spalla per ricordarsi le antiche battaglie,
ma il divertimento non lo lasciano mai in disparte: lo dimostrano titoli
quali The Good Old Days, godereccio r&b con tanto di fiati,
Last Of The Only Ones, dolce sobbalzare country rock, That's
What Brought Me Here, chiusura a tempo di marcetta con banjo. Cast
Iron Soul vive soprattutto di ironia, con la capacità non indifferente
di prendersi in giro, ma senza fermarsi al solo amarcord (la title track
e Thanksgiving Day sono tra i frutti migliori). Il problema forse
è quell'effetto da mondi separati, quella mancanza di amalgama
che ti saresti aspettato da Danny & Dusty. Accantonate le pretese
di ripetere la magnifica esperienza del 1985, quello che balza in primo
piano sono da una parte le convulse rock'n'roll song Raise The Roof
e Hold Your Mud, che sanno tanto del Wynn solista con i Miracle
Three, e dall'altra l'oscura Warren Oats o la cantilena di Let's
Hide Away, ballate che non possono non rimandare ai Green on Red crepuscolari
di Scapegoats, oppure anocra lo sbraitare elettrico di JD's Blues,
dove Stuart ritrova la verve di Here Comes the Snakes. In tal senso Cast
Iron Soul ha un orizzonte più ristretto e canzoni che vengono in
seconda posizione rispetto alle carriere soliste di Danny & Dusty NB: Cast Iron Soul è disponibile anche in una versione deluxe, caldamente consigliata, con allegato uno storico filmato in DVD di un'esibizione di Danny & Dusty nella formazione originale al Music Machine di Los Angels nel febbraio del 1986 |