inserito 26/10/2007

Eddie Vedder
Into the Wild
[
Columbia/ Sony 2007]

1/2

La curiosità di sentire Eddie Vedder all'opera da solo è sempre stata tanta, e probabilmente Into The Wild arriva anche fuori tempo massimo, quando i Pearl Jam non sono più il presente del rock, ma una dignitosa prosecuzione di un grande passato. Probabilmente lui non avrebbe avuto lo spessore da autore che ha permesso ad un Mark Lanegan di eccellere in solitaria carriera, né la sicurezza nei propri mezzi di un Chris Cornell, per quanto ormai anche l'ex Soundgarden appaia ultimamente arroccato su idee monolitiche e stantìe. I Pearl Jam infatti sono sempre stati un'alchimia di personalità, una somma di fattori, un vero gruppo insomma, e se rimangono una delle poche band dell'era grunge a non aver mai mollato il palco, è forse perché i suoi membri sanno che un'eventuale diaspora potrebbe significare la fine dei grandi livelli per tutti, un po' come era successo ad altre storiche compagini come i Clash. Probabilmente neppure Vedder crede molto in una strada solitaria, se ha affidato ad una colonna sonora di un film di Sean Penn l'onore del suo esordio, ma va detto subito che il risultato è un vero e proprio album, alla stregua di She's The One di Tom Petty o al recente Strange Weirdos di Loudon Wainwright III. Undici brani, solo trenta minuti circa di musica, dovuti anche al fatto che Eddie comunque si fa carico dei tempi cinematografici registrando molti pezzi sotto i due minuti, fulminanti abbozzi di canzone che colpiscono però per quanto riescano a risultare ugualmente incisivi, non tanto quando puntano a descrivere un'atmosfera di una scena come gli ululati di The Wolf, ma quanto laddove vivono di luce propria come la sequenza iniziale composta da Setting Forth, No Ceiling e la graffiante Far Behind. La strumentazione è scarna, essenziale, con intrecci di chitarre acustiche e banjo, mentre in Rise affiora persino un ukulele. Vedder fa quasi tutto da solo, con la supervisione di Adam Kasper, produttore e ingegnere di fiducia di tutto il mondo rock di Seattle. Quando il menù prevede canzoni di lunga durata il disco vola altissimo, con brani come l'intensa Society, ballata acustica degna dei migliori Pearl Jam, l'ispirata End Of The Road e la finale Guaranteed. Ma la vera sorpresa Eddie ce la fa scartabellando tra i suoi vecchi vinili e scovando un brano meraviglioso come Hard Sun, dimenticato su Big Harvest, unico disco del 1989 di tal Indio, al secolo Gordon Peterson, un titolo (dove compariva tra l'altro nientemeno che Joni Mitchell ai cori) che a questo punto già diventa un cult. Rimane la sensazione che questo piccolo gioiellino gli sia riuscito così bene proprio per la sua evidente provvisorietà e sgangheratezza, con Vedder colto in un particolare momento di ispirazione (soprattutto vocale, viste le impeccabili interpretazioni) che difficilmente potrebbe ripetersi in occasione di un progetto più lungo e strutturato. A lui dunque lo stimolante compito di smentirci.
(Nicola Gervasini)

www.pearljam.com


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