inserito il 01/04/2008

Kathleen Edwards
Asking for Flowers
[Zoe/ Rounder 2008]



Un leggero scarto o se preferite un impercettibile cambio di rotta nel songwriting di Kathleen Edwards. Il clima più ovattato che caratterizza gli undici episodi di Asking for Flowers è dischiuso dai cinque minuti abbondanti di Buffalo, una ballata sospesa, eterea, cadenzata dallo scorrere fluente di steel e tastiere: è il segnale di un disco meno diretto nella sua esposizione, capace ancora di alzare di tanto in tanto i pugni del rock'n'roll, eppure concettualmente più personale, esposto alle intemperie dell'anima. Canzoni che si dividono infatti tra fragili confessioni familiari, riottose e persino ironiche prese di posizione su questioni amorose ma soprattutto, novità assoluta o quasi, racconti in terza persona dove Kathleen Edwards non ha paura di affrontare tematiche sociali, siano esse i fantasmi di una guerra assurda, i cocci in frantumi di una nazione (il suo Canada) o drammi che sfriorano la cronaca nera per assumere un significato metaforico più profondo (l'agrodolce ballata pop di Alicia Ross).

La pausa voluta di tre anni dall'ultimo celebrato Back to Me è servita forse ad acuire e soprattutto affinare queste sensibilità: felicemente svuotata dagli impegni on the road, contrassegnati da tour intensi al fianco di grandi nomi della canzone americana (da Willie Nelson a John Prine, da Aimee Mann ai My Morning Jacket), la Edwards si è presa tutto il tempo dovuto per ripensare ai traguardi già raggiunti e a quelli da conquistare. Asking for Flowers è la risposta di una autrice sicura dei propri mezzi, tanto da delineare il suo album più corposo in termini di contenuti e produzione. Mancano probabilmente assi nella manica, cioè canzoni memorabili come in passato, ma nella resa finale si tratta del classico esempio di un disco che trae la sua forza nella visione d'insieme anziché dai singoli episodi. La presenza massiccia dei tempi medi, di alcuni country rock lussuriosi che molte colleghe non hanno ancora scovato nel loro songwbook (quello che è mancato all'ultima Tift Merritt e fors'anche alla madrina di tutte, Lucinda Williams), domina la scaletta: a partire dalla citata Buffalo passando per la title track, per l'intensità emotiva di Run e per un'ariosa e westcoastiana I Make the Dough, You Get the Glory, per finire fra i delicati contorni acustici di Sure as Shit (quando si dice parlare chiaro) e Scared at Night.

La scelta di spezzare le session con diversi musicisti, passando dai favori di un cast stellare formato dal sopraffino Greg Leisz, da Bob Glaub e Benmont Tench (Heartbreakers) ai più familiari collaboratori Jim Bryson e Colin Cripps (ottimo chitarrista e compagno della stessa Edwards), non pare avere alterato minimamente i valori: ragione in più per elogiare il ruolo di Jim Scott (Whiskeytown, Tom Petty, Sheryl Crow) nelle vesti di produttore. Suo probabilmente il marchio cristallino sulle chitarre e le bizze rock di The Cheapest Key, passo stradaiolo e grande cuore elettrico che riporta ad alcuni momenti del precedente Back to Me, così come impeccabili restano le pennellate country rock da manuale in Oil Man's War e la tensione abbagliante di Oh Canada. Giunta al terzo capitolo di una progressiva crescita artistica, Kathleen Edwards dimostra definitivamente di avere tutte le carte in regola per imporsi come la migliore voce femminile dell'universo Americana...che ad impossessarsi di questo scettro sia una ragazza canadese è soltanto un dettaglio un po' beffardo.
(Fabio Cerbone)

www.kathleenedwards.com
www.myspace.com/kathleenedwards


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