inserito 03/10/2008

Ali Eskandarian
Nothing to Say
[
Wildflower/ Audioglobe
2008]



Qualcuno proverà a convincervi, e magari a distrarvi, sul fatto che il tratto più significativo di Ali Eskandarian sia la sua biografia: una vita errante, a suo modo "esotica", quella che ha portato un ragazzo di origini iraniane, figlio di un militare cacciato dal regime dopo la morte dell'Ayatollah Khomeini e rifugiato politico con l'intera famiglia prima in Germania e poi negli Stati Uniti, in giro per il mondo. Certo, notare i dettagli di questa storia ha un senso preciso, se non altro per sottolineare come quella strana forma di melting pot da sempre generata nel rock sia in grado soprattutto di fornire un senso di libertà preciso a chiunque abbia voglia di confrontarsi con esso.

C'è ben altro però nella musica di Ali Eskandarian, a cominciare dal fatto che lui - ragazzo americano a tutti gli effetti, è nato in Florida e cresciuto a Dallas prima di finire a suonare nella coffee houses di New York - dell'antica terra persiana ha soltanto un ricordo sfumato, che ritorna sottilmente nelle salite improvvise della sua vibrante vocalità, in qualche esplicito omaggio (il finale con Eastern City) e in altre soluzioni interpretative che si mischiano al sostrato folk di Notthing to Say. Un esordio che la newyorkese Wildflower ripesca dalla più totale indipendenza (le registrazioni del disco risalgono al 2006) per farne una delle più limpide raccolte di stagione, accodato a quel rinnovato gusto "dylaniano" che in questo 2008 aveva già passato al vaglio Pete Molinari. Rispetto al ragazzotto inglese, i capelli arruffati e il volto inquieto di Ali Eskandarian sembrano sondare un terreno meno ripiegato sul revival e attento semmai alle tonalità aspre del songwriting: insomma una personalità persino più spiccata, in cui il folk rock serve come base di partenza per mettere a nudo l'anima di un folksinger fragile e rude al tempo stesso, a metà strada fra il suono rurale della generazione Americana (Waking Up is Hard To Do) e le spirali più ardite di un menestrello alla Tim Buckley (Nobody).

Conquista, in tutto questo gioco di rimandi, la semplicità disarmante delle melodie, lo scandire scarno della chitarra acustica di Ali, intorno alla quale però il bravissimo Rob Friedman (produttore del disco, già al fianco dell'ex Del Fuegos Dan Zanes ) innesta deliziosi ricami di lap steel, resonator, organo, pianoforte e accordion, impastando le sonorità di queste ballate, così eterne e soffuse, con le tonalità di una musica sinceramente old time. In tal senso esemplare è la melodia di Memphis, storia guarda caso di un vagabondo che cerca disperatamente di far rivivere la memoria della sua città: riassume l'ingenua bellezza delle composizioni di Eskandarian, che difficilmente potranno essere scambiate per una furbesca rapina dei modelli di riferimento.

Questo assunto lo potremmo estendere all'intero Notyhing to Say: a meno che abbiate un cuore di pietra, fareste meglio a lasciarvi avvolgere dalla flessuosa e carezzevole melodia di All We Do, dal crescendo di una tersa Black Tar Man, forse la più sottilmente pop del disco, dalle scosse folk blues di una spietata Government Meat che succhia linfa vitale dal Sud e ancora dalla cruda dichiarazione contenuta in una nervosa Johnny Goes to War. Quest'ultima non sarà forse uno stralcio di poesia in musica, ma basterebbe quel War Yeah urlato in maniera liberatoria a metà brano o meglio ancora lo schiaffo di un verso quale "nineteen years old with 23 kills" per testimoniare la scorza solida e robusta di Ali Eskandarian. Un inaspettato incontro, una sorpresa da tenersi stretta.
(Fabio Cerbone)

www.myspace.com/alieskandarian
www.wildflowerrecords.com


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