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Fleet
Foxes
Fleet Foxes
[Sub Pop 2008]

I Fleet Foxes sono assurti nel giro di due sole uscite, compreso
un semplice ep di debutto, al ruolo di next big thing della stagione 2008,
almeno giudicando la travolgente valanga di lodi che sono fioccate dalla
stampa specializzata, quest'ultima davvero inerme di fronte all'accattivante
e onirico mondo musicale creato da questo quintetto di casa alla Sub Pop.
Non v'erano dubbi sulla loro collocazione discografica: in buona compagnia
con i colleghi The Shins, Band of Horses e soprattutto presi sotto l'ala
protrettrice del produttore Phil Ek (nume tutelare dell'indie rock
più incantato di questi anni), i Fleet Foxes guadagnano un posto al sole
facendo tesoro anche delle conquiste di altre formazioni a loro contemporanee,
forse soltanto con una malizia compositiva maggiore ed una predisposizione
al colpo di fioretto pop che rende l'omonimo disco un gioco di rimandi
fin troppo seducente.
Sia ben chiaro: il dileguarsi sognante delle armonie vocali, l'incantevole
strato folk che rimanda alla tradizione rurale senza sconfinare nella
purezza roots (si veda l'evocazione di Blue Rideg
Mountains), il continuo rincorrersi di tenera psichedelia e
reminiscenze sixties consola e accarezza l'ascolto, garantendo una placida
dipartita verso le lande di un intelligente ripasso dell'American music.
Quello che ancora manca a farli divenire la vera sorpresa del loro campo
è proprio questa senzasione di appropriazione indebita: diamo le giuste
proporzioni e ammettiamo dunque che il falsetto celestiale di Robin
Pecknold, le sue ballate sospese in un paradiso di riverberi e ricordi
sono una succursale di Jim James e dei My Morning Jacket. Certo qui manca
l'abbandono elettrico di questi ultimi, preferendo una forma folk più
rotonda e mansueta che sfocia nel gioco di luci cristalline di White
Winter Hymnal e Ragged Wood,
nei volteggi quasi beatlesiani di Quiet Houses,
coltraltare per i pizzichi acustici di Tiger
Mountain Peasant Song e Meadowlarks,
oppure quella dilatata, piena di estasi, forma folk rock in Heard
Them Stirring, che non sarebbe dispiaciuta al vecchio compagno
David Crosby.
Introdotto da un canto agreste che pare rubato al pionerismo della Band
(sempre loro, pronti a sbucare dietro l'angolo), poi sviluppato nella
trasognata Sun It Rises, Fleet
Foxes è una bella promessa tutta da mantenere, uno specchio liscio
e perfettamente adagiato sulle sensibilità di certo gusto critico di questi
anni: non è un peccato, perché c'è una tale abbondante esplosione di fantasia
nelle costruzione dei singoli brani, che prende forma un insieme convincente.
Resta soltanto quella sottile sensazione di dejà vù, un piccolo insinuante
dubbio che andrebbe dissipato al prossimo turno: perché allora promuoverli
già nell'olimpo?
(Fabio Cerbone)
www.myspace.com/fleetfoxes
www.subpop.com
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