inserito 02/04/2008

David Ford
Songs for the Road
[
Independiente Music Ventures
  2007]



Non lasciatevi ingannare dalla copertina, i toni waitsiani sono solo ombre di passaggio che sfumano talvolta il loro perlage nell'intimismo e intensità delle liriche. Non fidatevi dei paragoni che circolano in rete. Con James Blunt (con tutto il rispetto, per carità) David Ford ha ben poco da condividere, con altri nomi che non cito ancora meno. Songs For The Road è un disco sorprendente, bellissimo e poetico, ancora più interessante perché proviene in un certo senso dalle nebbie del nulla. Perché di questo artista fino ad oggi non conoscevamo (o meglio, non conoscevo) l'esistenza. Ford è inglese, un inglese anomalo possiamo dire, nato in quel di Dartford, Kent, una cittadina che vanta un paio di nomi niente male (almeno all'anagrafe), e parlo di un certo Mick (Jagger) e dell'inseparabile Keith (Richards), qualcosina come la storia del rock. Oggi vive a Eastbourne, una bella location sulla Manica, e fa musica, grande musica, basta concedere un'opportunità a questo disco di varcare la soglia del lettore per rendersene conto.

Un'esperienza con un gruppo, gli Easyworld, poi lo scioglimento e il primo disco da solista dal titolo indubbiamente accattivante, I Sincerely Apologise For All The Trouble I've Caused (mica male), fino al piccolo capolavoro che ci troviamo tra le mani. Nonostante tutti i paragoni e i molti nomi tirati in ballo, personalmente vedo in lui qualcosa del Damien Rice dell'esordio, forse piccole gocce di David Gray, ma soprattutto uno stile personale e una capacità di scrittura notevole, capace di arrivare al cuore in un istante. Le canzoni possiedono il dono di un'ispirazione naturale, i versi ricamano spesso ventate di poesia accarezzate dal suono morbido degli archi, soffici come neve che si scioglie al tenue sole primaverile. Malinconia e tristezza, desiderio e rabbia, un mood che si pone come filo conduttore dell'intero album, aperto in modo stentoreo da Go To Hell, un upbeat da brividi che vede il crescendo della sezione ritmica mitigare la nostalgica inquietudine degli archi. Decimate è un affresco pianistico che possiede un certo qual feeling Motown, I'm Alright Now il punto più alto della sequenza, con ancora gli archi a cadenzare un lamento (every man needs a little affection) che trova la sua forza nella straordinaria semplicità creativa, Song For The Road un'altra ballata di grande appeal.

Che dire, ci sono tutti gli ingredienti per affascinare e coinvolgere, dall'Hammond che farcisce Train al pop di Nobody Tells Me What To Do, un brano molto orecchiabile che deve parecchio a Randy Newman, fino a …And So You Fell, passando per St Peter e la rabbiosa Requiem. Due le ghost tracks, la prima una cover pianistica di un brano degli Smiths periodo Queen Is Dead, e cioè There Is A Light That Never Goes Out, la seconda Shame Not Regret, per chiudere in bellezza. Grande disco.
(David Nieri)

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