 |
Micah
P Hinson & The Red Empire Orchestra
Micah P Hinson & The Red
Empire Orchestra
[Full
Time Hobby 2008]
 
Una nuova casa discografica, l'ennesimo cambio di ragione sociale (dall'Opera
Circuit siamo passati oggi alla Red Empire Orchestra), ma soprattutto
un diverso sguardo alla vita: che Micah P Hinson abbia forse svoltato
l'angolo e si sia finalmente aperto alle gioie dell'esistenza? Non esattamente,
anche se le cronache mondane ci narrano persino di una proposta di matrimonio
fatta alla sua amata nel bel mezzo di un concerto, lo scorso dicembre,
manco si credesse una reincarnazione di Johnny Cash. Micah P Hinson
and Red Empire Orchestra è in verità un disco di risorgenze e
cadute, di aspirazioni gioiose e elucubrazioni dolorose, come sempre avvolto
da una cappa di dolce malinconia in cui è facile lasciarsi in qualche
modo cullare dal basso profondo di una voce che pare spuntare da un tempo
indefinito e lontano.
Ormai il songwriter texano non può essere più considerato un ragazzino
prodigio, un talento grezzo risorto da una notte buia fatta di abusi di
droga, dolori fisici, tentativi di suicidio, così che il gioco del maudit
non reggerebbe a lungo…d'altronde lo avevamo già sottolinetao in occasione
dell'interlocutorio And
The Opera Circuit. Gioca dunque a favore di questo terzo lavoro
una disponiblità a spalancare il proprio animo verso la luce del futuro,
alternando quel rimuginare dolente tipico del nostro con spiragli di salvezza:
ne guadagna l'impianto generale - più omogeneo, dimesso e meno disposto
alle intemperie - nonostante lo stupore meravigliato dell'esordio resti
sempre di più un momento isolato, forse irripetibile. Condotto per mano
dalla produzione parca di John Congleton (Black Mountain, Antony
and the Johnsons), l'uomo che pare avere giocato, soltanto grazie ad una
lettera, un ruolo essenziale nel ridestare l'animosità di Hinson, puntellato
inoltre dalle partecipazioni di membri sparsi di Polyphonic Spree, The
Paper Chase and The Drams, Micah P Hinson and Red Empire Orchestra implode
e sottrae, usa un tappeto di morbidi archi nella suadente
I Keep Havin' These Dreams salvo ridestarsi al suono asciutto
del folk in When We Embraced, Throw
The Stone e Wishing Well And The Willow
Tree, una chitarra, un banjo, un fiddle in lontananza, abbracciando
il cuore nero della tradizione.
L'inizio poi è una breve preghiera, Come Home
Quickly Darlin', congiungendosi idealmente allo stile di un
tempo: anche la successiva soffice cadenza di Tell
Me It Ain't So, piano ed organo ad infarcire il canto, pare
una coda lunga delle opere precedenti. Solo strada facendo il disco si
rende più impalpabile, a tratti coraggioso nello sperimentare qualche
insolita via (l'incrocio con i riverberi surf delle chitarre in You
Will Find Me), altre volte più evanescente, calando di intensità
e mordente nella chiusura con We Won't Have To
Be Lonesome e Dyin' Alone,
titoli che ancora una volta sembrano abbandonarsi allo struggimento un
po' abusato dell'autore. I'm not afraid of the suffering canta
il nostro Micah: non abbiamo motivi di dubitarne.
(Fabio Cerbone)
www.micahphinson.com
www.fulltimehobby.co.uk
|