inserito il 02/06/2008

Pete Molinari
A Virtual Landslide
[
Damaged Goods
 2008]



I Came out of the Wilderness...un po' come dire: credeteci, sono davvero sbucato dal grande nulla del deserto folk, un mondo parallelo, incantato, fuori tempo, in cui una vecchia canzone può ancora trasformarsi in qualcosa di attuale. Non chiamatela modernità dunque, perchè Pete Molinari è tutto fuorchè moderno: la sua dedizione al recupero delle anticaglie dell'american music è a dir poco "irritante", talmente immersa in un rispettoso ossequio dei canoni del folk revival da risultare per forza di cose anacronistica. Però i fiumi di inchiostro che la stampa inglese (da Mojo a Q, dal Guardian al NME) sta spendendo su questo ragazzo meticcio (famiglia di origine egiziana, maltese e italiana) nato nel Kent, non pare essere il solito fuoco di fila costruito ad arte, una frivola infatuazione mediatica.

Ci sono i tre quarti d'ora di A Virtual Landslide, secondo episodio registrato nei londinesi Toe Rag Studios con Liam Watson, a smentire un giustificabile scetticismo. C'è soprattutto quella voce acuta e fiabesca, quella di un folksinger nato nel posto sbagliato al momento sbagliato e che, perso nei suoi sogni di gloria, ha abbandonato casa e lavoro per trasferirsi fra gli anfratti delle coffee houses di New York, vivendo da busker e immergendosi nelle buone vibrazioni del Greenwitch Village. La sorpresa degli astanti, le belle parole dei colleghi, qualche conoscenza giusta, poi il ritorno in patria e la prima incisione, i suoi "nastri della cantina" intitolati Walking Off The Map e registrati nella cucina del poeta e musicista Billy Childish. A Virtual Landslide comincia tuttavia a fare sul serio: niente rozze demo tape, una band alle spalle, un suono delizioso che sbuffa e sobbalza fra un folk blues "dylaniano" e "dylaniato", una Nashville depurata e ricondotta ai fasti di Hank Williams, una ballata ridotta al'osso che omaggia Woody Guthrie ed ogni storyteller con la chitarra a tracolla. Non è una rivelazione caduta dal cielo, e nemmeno il disco che salverà il futuro di un genere che non è mai tramontato: le canzoni sono nell'aria, le migliori bisogna solo saperle catturare.

Pete Molinari, con quella voce adamantina e fragile al tempo stesso, ne ha colte parecchie: la citata I Came out of the Wilderness, e ancora più una languida, dolcissima There She Still Remains, il country paradisiaco di God Damn Lonesome Blues (Hank ringrazia dall'alto dei cieli...o dal basso dell'inferno), al walzer da lacrime di Dear Angelina, ben accompagnate alla stellare Hallalujah Blues, alle morbide carezze folk rock di One Stolen Moment. E sentite qui: titoli quali Adelaine, Look What I Made Out Of My Head Ma, Sweet Louise (comprensiva dell'avverbio absolutely) non paiono davvero rubate alla penna di un giovane Bob Dylan? Molinari fa il timido e intanto rubacchia a destra e a manca, eppure scrive canzoni così semplici, ingenue e belle che tutto o quasi gli va perdonato.

La band (da segnalare B.J. Cole alla steel e Ed Turner alle chitarre) gli serve su un piatto d'argento il sound giusto: retrò, frizzante, storicamente impeccabile. A Virtual Landslide non sarà affatto una rivoluzione, ma un disco in cui perdersi lentamente e con gioia.
(Fabio Cerbone)

www.petemolinari.co.uk
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