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Pete
Molinari
A Virtual Landslide
[Damaged
Goods
2008]
 
I Came out of the Wilderness...un po' come dire: credeteci, sono davvero
sbucato dal grande nulla del deserto folk, un mondo parallelo, incantato, fuori
tempo, in cui una vecchia canzone può ancora trasformarsi in qualcosa di
attuale. Non chiamatela modernità dunque, perchè Pete Molinari
è tutto fuorchè moderno: la sua dedizione al recupero delle anticaglie
dell'american music è a dir poco "irritante", talmente immersa
in un rispettoso ossequio dei canoni del folk revival da risultare per forza di
cose anacronistica. Però i fiumi di inchiostro che la stampa inglese (da
Mojo a Q, dal Guardian al NME) sta spendendo su questo ragazzo meticcio (famiglia
di origine egiziana, maltese e italiana) nato nel Kent, non pare essere il solito
fuoco di fila costruito ad arte, una frivola infatuazione mediatica.
Ci sono i tre quarti d'ora di A Virtual Landslide, secondo episodio
registrato nei londinesi Toe Rag Studios con Liam Watson, a smentire un giustificabile
scetticismo. C'è soprattutto quella voce acuta e fiabesca, quella di un
folksinger nato nel posto sbagliato al momento sbagliato e che, perso nei suoi
sogni di gloria, ha abbandonato casa e lavoro per trasferirsi fra gli anfratti
delle coffee houses di New York, vivendo da busker e immergendosi nelle buone
vibrazioni del Greenwitch Village. La sorpresa degli astanti, le belle parole
dei colleghi, qualche conoscenza giusta, poi il ritorno in patria e la prima incisione,
i suoi "nastri della cantina" intitolati Walking Off The Map e registrati
nella cucina del poeta e musicista Billy Childish. A Virtual Landslide comincia
tuttavia a fare sul serio: niente rozze demo tape, una band alle spalle, un suono
delizioso che sbuffa e sobbalza fra un folk blues "dylaniano" e "dylaniato",
una Nashville depurata e ricondotta ai fasti di Hank Williams, una ballata ridotta
al'osso che omaggia Woody Guthrie ed ogni storyteller con la chitarra a tracolla.
Non è una rivelazione caduta dal cielo, e nemmeno il disco che salverà
il futuro di un genere che non è mai tramontato: le canzoni sono nell'aria,
le migliori bisogna solo saperle catturare. Pete Molinari, con quella
voce adamantina e fragile al tempo stesso, ne ha colte parecchie: la citata I
Came out of the Wilderness, e ancora più una languida, dolcissima
There She Still Remains, il country paradisiaco
di God Damn Lonesome Blues (Hank ringrazia
dall'alto dei cieli...o dal basso dell'inferno), al walzer da lacrime di Dear
Angelina, ben accompagnate alla stellare Hallalujah
Blues, alle morbide carezze folk rock di One
Stolen Moment. E sentite qui: titoli quali Adelaine,
Look What I Made Out Of My Head Ma, Sweet
Louise (comprensiva dell'avverbio absolutely) non paiono davvero
rubate alla penna di un giovane Bob Dylan? Molinari fa il timido e intanto rubacchia
a destra e a manca, eppure scrive canzoni così semplici, ingenue e belle
che tutto o quasi gli va perdonato. La band (da segnalare B.J. Cole
alla steel e Ed Turner alle chitarre) gli serve su un piatto d'argento
il sound giusto: retrò, frizzante, storicamente impeccabile. A Virtual
Landslide non sarà affatto una rivoluzione, ma un disco in cui perdersi
lentamente e con gioia. (Fabio Cerbone) www.petemolinari.co.uk
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