inserito 07/11/2008

Cliff Murphy
Bay State Lullaby
[
Mill Town Records 2008
]



In effetti già da un po' di tempo mi stavo chiedendo che fine avesse fatto l'altra metà dei Say Zuzu, uno dei gruppi in grado di cavalcare l'onda di punta del movimento alternative di recente memoria. Tra gli spazi angusti di quel temporale di sensazioni la band del New Hampshire si era ritagliata uno spazio di tutto rispetto, soprattutto con i due album realizzati nella metà avanzata degli anni novanta, Highway Signs & Driving Songs e Take These Turns, piccole gemme che ancora brillano di luce propria. Se Jon Nolan era la voce con il pungiglione e il lato più battagliero e rockeggiante, Cliff Murphy ristabiliva gli equilibri con quelle smerigliature country che addolcivano la tradizione imbevendola di intimità e trasporto. Di lui ricordo alcune ballate da brividi e un senso della melodia non comune, ingredienti che rendono appetitoso questo esordio solista, un disco genuino e brillante, ben suonato e raccontato con il cuore.

Effettivamente dopo l'esperienza Hog Mawl, un esperimento riuscito da parte dei due leader che si erano cimentati con la tradizione più pura, di Cliff si erano perse le tracce. Nel tempo la musica per lui è diventata una passione, quella che trasuda limpida dai solchi che dividono le loro pulsazioni tra il country più classico, un'infarinata roots e una buona dose di traditional folk, tanto per non farsi mancare nulla. La band che lo accompagna, The Massachusetts Trust Company, è ben rodata e affiatata, e la pedal steel di Bruce Derr dipinge meraviglie su un wall of sound che scende dagli Appalachi, attraversa il Mississippi e vagabonda qua e là tra la polvere e le meraviglie del deserto. Gli Everybodyfields, un gruppo folk rock che adombra una sorta di next big thing nello scenario a stelle e strisce dà una mano in due canzoni, ed è soprattutto la bella voce di Jill Andrews a farsi notare in The Way I Was Back Then, un folk-blues con il dobro in prima fila a richiamare Jimmie Rodgers e i numerosi epigoni che si sono divisi la scena, e nella conclusiva Bay State Lullaby, la canzone che forse più di ogni altra ricorda il marchio di fabbrica Say Zuzu, una grande ballata che pretende di essere ascoltata a cuore aperto.

Quello che veleggia in mezzo non è da meno, melodie sbottonate, sapori antichi, ritmi dei quali si sono perse le tracce caratterizzano una sequenza che se non trascende i confini di un disco ben riuscito, offre se non altro spunti deliziosi e corroboranti, come l'iniziale Take It On The Chin, una bella cavalcata a passo di steel, la gradevolissima Happy & Confused, con il banjo e la fisarmonica di Scott Roy a marcare il territorio folk, il roots rock di Terminal Blues e Another Good Man Gone Bad, l'old country Jesus, Do You Know This Lamb?, l'uptempo So Long Buddy fino alla straordinaria Medicine, una ballata perfetta che respira a pieni polmoni l'aria della grande musica, quella che oggi paga un debito sproporzionato all'ombra che vorrebbe oscurare anche questi piccoli posti al sole, ma per fortuna non ci riesce.
(David Nieri)

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