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Susan
Tedeschi
Back to the River
[Verve
Forecast
2008]

Mannaggia alle playlist di fine anno chiuse in modo troppo repentino.
Pochi giorni dopo averla compilata ti esplode tra le mani una bomba simile,
e allora cosa fai? L'unica cosa sensata: provi a scrivere, col capo cosparso
di cenere, una recensione sufficientemente esaltata nella speranza di
convincere quante più persone possibili del fatto che Back To The
River non è soltanto il disco migliore di Susan Tedeschi
ma uno dei più riusciti dell'intera stagione. Hope And Desire (2005),
essenzialmente un albm di covers, era già stato un bel salto di qualità,
è vero, e tuttavia non era riscito a confutare del tutto l'impressione
che, nonostante l'indubbia lungimiranza del suo operato, Joe Henry non
fosse il produttore più adatto a mettere in risalto la naturale grinta
e la drastica energia rockista della blues-woman bostoniana. Stavolta
in cabina di regia siede il mai troppo lodato George Drakoulias
e la musica cambia in senso ancor più radicale e selvaggio, perché Back
To The River ha le (grandi) canzoni di un album destinato a durare nel
tempo, il feeling di una scalmanata esibizione live e al tempo stesso
l'intimità di un family-affair registrato in compagnia di amici e parenti.
A proposito di amici e parenti, sono talmenti tanti quelli che compaiono
nelle undici canzoni del disco che se ne potrebbe parlare per ore, di
come la ballatona 700 Houses sia illuminata
da un fulminante inciso di slide (per forza: la suona Derek Trucks,
nella vita compagno della titolare) o di come il sopraffino funky à la
Little Feat di People faccia da involucro
a un cuore malinconico degno di Joni Mitchell (per forza: è scritta a
quattro mani con Sonya Kitchell), di come la trasognata Learning
The Hard Way metta a bagno discreti accenni latin in un calderone
di climi sixties (per forza: l'ha composta Gary Louris) o di come la title-track
suoni incazzata, minacciosa e swampy (per forza: c'è lo zampino di Tony
Joe White). Ma significherebbe, in fondo, menare il can per l'aia; non
riconoscere, cioé, che l'impronta più forte, sui contenuti di Back To
The River, è proprio quella di Susan Tedeschi, prima d'ora mai così irruenta
e delicata (abbandonatevi per esempio al tiepido vento gospel di Revolutionize
Your Soul), così determinata e così spontanea nell'azzeccare
una gamma di interpretazioni che si estende dal più cavernoso dei ruggiti
al più soffice dei sussurri.
Due estremi pescati nelle contraddizioni della vita di tutti i giorni
ed esemplificati alla perfezione dal furibondo blues-rock di una Talking
About che apre le danze con devastante verve rockinrollista
(occhio anche alla ruspante rilettura, tutta fiati e Telecaster, di There's
A Break In The Road, un classico di Allen Toussaint) e dal
cupo, sofferto congedo di una Can't Sleep At
Night che saluta l'ascoltatore tra impennate elettriche e carezze
notturne, tra scossoni e malinconiche nuvole di fumo. Chi ha parlato di
mancanza di carisma nelle performance vocali della Tedeschi dev'esser
solito ascoltare i dischi raggomitolato in una pentola a pressione. Qui,
tra una slide che geme e un sax che s'infuria, tra un'ugola che si squarcia
e un Wurlitzer che fa le fusa, ci sono tutto il blues, il soul e il rock'n'roll
di cui possiamo aver bisogno. Garantito.
(Gianfranco Callieri)
www.susantedeschi.com
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