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Butch
Walker
Sycamore Meadows
[Original Signal Recordings/Power Ballad 2008]

Bradley Glenn Walker III detto Butch porta con disinvoltura questo
nomignolo tipicamente americano e proprio come il più famoso dei Butch
- non Cassidy ma quello di Pulp Fiction - è meno sfigato di quanto dicano
le apparenze: al moderato successo di critica con i Marvelous 3 negli
anni '90 e a una carriera solista mai decollata ha infatti affiancato
una redditizia attività di autore e produttore di dischi vendutissimi,
da Avril Lavigne a Pink. Il Walker solista non prenderà il volo nemmeno
con Sycamore Meadows - quarto album, primo
prodotto in proprio, fatto curioso per uno che lavora a stretto contatto
con le majors - eppure lo meriterebbe. Alla passione per i Cheap Trick
e certo rock dei '70 e all'innato talento di generare hooks stavolta
Butch ha sommato le sue origini sudiste - è nativo della Georgia - e questa
ricetta ben servita dalla sua abilità di produttore ha generato un disco
di sano rock&roll come testimonia il brano d'apertura The
Weight of Her, uno di quelli che a Tom Petty non gli vengono
più così facilmente.
Questo ritorno di Walker alle origini trova spiegazione nella traccia
nascosta a fine disco quando Butch canta "Let it burn, let it fall,
let it drain the blood from my legs as I crawl" dove a bruciare e
crollare è la casa in cui il nostro viveva a Sycamore Meadows, strada
di Malibu distrutta dagli incendi un anno fa: dopo un trauma del genere
cosa c'è di più naturale che tornare a casa? Così nascono canzoni come
la roots ballad piano e voce ATL -
Atlanta, of course - ma anche Going Back/Going
Home: autobiografia in quattro minuti di canzone che ha l'aria
d'essere il primo pezzo scritto da Walker al suo ritorno alla casa natia
("I'm not happy with myself these days, I took the best part of the
script and I made my own cliché"). Il disco è fortunatamente privo
delle inclinazioni glam emerse nei lavori precedenti, presenta invece
esempi di power-pop come Here Comes the...
mentre alla sesta traccia si torna a rockare con Vessels,
anche se il gioiello della corona è The 3 Kids
in Brooklyn. Un falso attacco di piano e dei contagiosi accordi
di chitarra sono l'aperitivo, poi spuntano da chissà dove un banjo festoso
e una slide tagliente fino a chiudere il tutto tra chitarre ruggenti -
in un riuscito miscuglio d'acustico e d'elettrico - e un irresistibile
coro la-la-la come non se ne sentiva da tempo.
Le canzoni davvero grandi hanno bisogno di un grande testo e così ecco
un'efficace metafora del sogno indie-rock che Butch - ragazzo del '69
- ha condiviso nei '90 con migliaia di suoi coetanei: Well I left a
town of sinners ... to find myself a few more just like me, the options
pretty skinny and the odds pretty tall ... found myself squatting in Williamsburg
... fuck this place I'm gettin' out. Disco nato dal fuoco, devastante
ma autentico e quindi origine della riuscita: Sycamore Meadows
non ha sonorità nuove ma esibisce i fuochi che animano la musica USA,
l'anima di un Butch "I'm American, honey. Our names don't mean shit"
(Maurizio Di Marino)
www.butchwalker.com
www.myspace.com/butchwalker
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