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Rachel
Yamagata
Elephants...Teeth Sinking into
Heart
[Warner
Bros 2008]

Ci sono dei dischi che hanno un loro fascino tutto particolare. Sono quei
dischi talmente esagerati, verbosi, eccessivi e ripiegati su se stessi
da risultare però così ammalianti da non poterne fare a meno. Non
sono "per tutte le stagioni" ma all'ascoltatore che vi dedica tempo e
pazienza si insinuano sottilmente nell'anima arrivando a toccare le corde
più profonde e nascoste. Ebbene, questo disco (doppio, va sottolineato)
della cantautrice Rachel Yamagata appartiene di diritto a questa
categoria. Rachel si era segnalata già nel 2004 con il disco d'esordio
Happenstance (anche se in realtà la ragazza aveva già dato alle
stampe nel 2003 un pregevolissimo omonimo ep), un album a tratti già buono
ma che risentiva di una produzione un po' troppo, per così dire, "in favore
di corrente". In questi quattro anni la Yamagata non se ne è stata affatto
con le mani in mano ed ha prestato la sua voce qua e là ad amici quali
Ryan Adams (Cold Roses), Conor Oberst (Cassadaga) e Ray Lamontagne ('Til
the Sun Turns Black ed il recente Gossip in the Grain), stando bene attenta
ad apprendere da ognuno di loro qualche segreto.
E in effetti, Rachel, anche un'ottima polistrumentista alle tastiere e
chitarra, ha messo a frutto tutti gli insegnamenti e ha sfoderato per
questo album un songwriting spettacolare. E' un disco a doppia faccia,
questo Elephants...Teeths Sinking into Heart. Il primo cd,
più lungo, è un concentrato di malinconia notturna e fumosa, rivestito
morbidamente da archi, pianoforte e delicati tocchi di batteria. Il secondo,
più breve, è invece rabbioso, a tratti feroce, ed è lacerato dalle chitarre
elettriche di Kevin Salem che la fanno da padrone, anche se alla
fine risulta un po' meno ispirato del primo. Sicuramente, infatti, è la
vena più intimista della Yamagata quella che suscita maggiori emozioni.
Il cuore di questo disco sta in quattro capolavori, uno più emozionante
dell'altro, quattro ballate senza tempo che toccano in profondità, all'altezza
di quelle corde che solo le canzoni speciali possono raggiungere. La prima
di queste è Sunday Afternoon, una
lunga suite ipnotica (ben nove minuti) trascinata dagli archi e da un
crescendo vocale da brividi che sfocia in un inciso di chitarra che sembra
uscire diritto da On the Beach di Neil Young. Il secondo momento di vertigine
è il tenero duetto con Ray Lamontagne (del quale la Yamagata sembra il
contraltare femminile) di Duet, in
cui bastano due voci e una chitarra sottilmente arpeggiata per creare
un'atmosfera sognante e magica. Il terzo è la ballata pianistica Over
and Over, dagli echi beatlesiani e dal ritornello che rimane
a lungo in testa, mentre l'ultimo capolavoro si chiama Horizon,
un'altra lunga ballata, tutta giocata sulla voce di Rachel che ogni tanto
pare quieta mentre in altri momenti quasi disperata nel declamare i suoi
versi.
Basterebbero queste quattro perle a giustificare l'acquisto dell'intero
disco ma, ad onor del vero, va detto che anche gli altri brani sono quasi
tutti da ricordare, dall'iniziale Elephants
all'accoppiata Sidedish friend/ Accident,
percorse da un sacro fuoco chitarristico. Se un difetto va trovato, quest'ultimo
sta nella bruciante urgenza creativa, che si tramuta in una lunghezza
forse eccessiva; ma questi sono invero peccati veniali a fronte di un'ispirazione
così alta. Insomma, abbiamo fra le mani un disco prezioso, di quelli che
non se ne vedono quasi più, il quale necessita, come già detto, di una
buona dose di pazienza per incunearsi nelle anime degli ascoltatori.
(Gabriele Gatto)
www.rachaelyamagata.com
www.myspace.com/rachaelyamagata
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