inserito 05/12/2008

Rachel Yamagata
Elephants...Teeth Sinking into Heart
[
Warner Bros  2008]



Ci sono dei dischi che hanno un loro fascino tutto particolare. Sono quei dischi talmente esagerati, verbosi, eccessivi e ripiegati su se stessi da risultare però così ammalianti da non poterne fare a meno. Non sono "per tutte le stagioni" ma all'ascoltatore che vi dedica tempo e pazienza si insinuano sottilmente nell'anima arrivando a toccare le corde più profonde e nascoste. Ebbene, questo disco (doppio, va sottolineato) della cantautrice Rachel Yamagata appartiene di diritto a questa categoria. Rachel si era segnalata già nel 2004 con il disco d'esordio Happenstance (anche se in realtà la ragazza aveva già dato alle stampe nel 2003 un pregevolissimo omonimo ep), un album a tratti già buono ma che risentiva di una produzione un po' troppo, per così dire, "in favore di corrente". In questi quattro anni la Yamagata non se ne è stata affatto con le mani in mano ed ha prestato la sua voce qua e là ad amici quali Ryan Adams (Cold Roses), Conor Oberst (Cassadaga) e Ray Lamontagne ('Til the Sun Turns Black ed il recente Gossip in the Grain), stando bene attenta ad apprendere da ognuno di loro qualche segreto.

E in effetti, Rachel, anche un'ottima polistrumentista alle tastiere e chitarra, ha messo a frutto tutti gli insegnamenti e ha sfoderato per questo album un songwriting spettacolare. E' un disco a doppia faccia, questo Elephants...Teeths Sinking into Heart. Il primo cd, più lungo, è un concentrato di malinconia notturna e fumosa, rivestito morbidamente da archi, pianoforte e delicati tocchi di batteria. Il secondo, più breve, è invece rabbioso, a tratti feroce, ed è lacerato dalle chitarre elettriche di Kevin Salem che la fanno da padrone, anche se alla fine risulta un po' meno ispirato del primo. Sicuramente, infatti, è la vena più intimista della Yamagata quella che suscita maggiori emozioni. Il cuore di questo disco sta in quattro capolavori, uno più emozionante dell'altro, quattro ballate senza tempo che toccano in profondità, all'altezza di quelle corde che solo le canzoni speciali possono raggiungere. La prima di queste è Sunday Afternoon, una lunga suite ipnotica (ben nove minuti) trascinata dagli archi e da un crescendo vocale da brividi che sfocia in un inciso di chitarra che sembra uscire diritto da On the Beach di Neil Young. Il secondo momento di vertigine è il tenero duetto con Ray Lamontagne (del quale la Yamagata sembra il contraltare femminile) di Duet, in cui bastano due voci e una chitarra sottilmente arpeggiata per creare un'atmosfera sognante e magica. Il terzo è la ballata pianistica Over and Over, dagli echi beatlesiani e dal ritornello che rimane a lungo in testa, mentre l'ultimo capolavoro si chiama Horizon, un'altra lunga ballata, tutta giocata sulla voce di Rachel che ogni tanto pare quieta mentre in altri momenti quasi disperata nel declamare i suoi versi.

Basterebbero queste quattro perle a giustificare l'acquisto dell'intero disco ma, ad onor del vero, va detto che anche gli altri brani sono quasi tutti da ricordare, dall'iniziale Elephants all'accoppiata Sidedish friend/ Accident, percorse da un sacro fuoco chitarristico. Se un difetto va trovato, quest'ultimo sta nella bruciante urgenza creativa, che si tramuta in una lunghezza forse eccessiva; ma questi sono invero peccati veniali a fronte di un'ispirazione così alta. Insomma, abbiamo fra le mani un disco prezioso, di quelli che non se ne vedono quasi più, il quale necessita, come già detto, di una buona dose di pazienza per incunearsi nelle anime degli ascoltatori.
(Gabriele Gatto)

www.rachaelyamagata.com
www.myspace.com/rachaelyamagata


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