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David
Grissom
10.000 Feet
[Wide
Lode 2009]

Pronti via, partenza
col botto: la chitarra gratta via la vernice dai muri dello studio, le
valvole dell'amplificatore si surriscaldano e Keep
a Rollin' On prende il largo. Un rockaccio tutta benzina e
cuore come non se ne sentivano da tempo. American rock'n'roll purissimo
quello che squarcia il cielo e la strada di 10.000 Feet,
l'inaspettato ritorno di David Grissom, manico extraordinaire
dal Texas e uno dei chitarristi più riconoscibili del rock da strada
(per chi scrive, secondo solamente all'Heartbreaker Mike Campbell in quanto
a tocco e sensibilità). Non dovrei spiegare forse a chi legge queste
righe il suo lavoro essenziale al fianco di Joe Ely e John Mellencamp,
soltanto per ricordare i più noti. Eppure la sua carreira solista,
come spesso capita ai grandi strumentisti, non è mai decollata:
non certamente con gli Storyville, per lo più deludenti, non con
il precedente Loud Music, passato inosservato, forse giustamente mi verrebbe
da aggiungere
10.000 Feet è tutta un'altra musica, diciamolo subito, forse la
trovata migliore che sia riuscita a Grissom fino ad oggi, escluse evidentemente
le sue partecipazioni in dischi altrui: è come se avesse fatto
tesoro delle esperienze passate, prendendo diligentemente nota di come
vada scritta una canzone rock, dritta al bersaglio. Ci ritroviamo così
dodici brani che svolazzano sulle note di un rock stradaiolo dalla presa
facile (la stessa 10, 000 Feet, Jet
Trails in the Sky), un suono roccioso (Ain't
No Game at All, Gone
and Lonesome) eppure melodico, tra ballate che inseguono
le radici del musicista (splendida Take Me Back
to Texas), con quel tanto di tocco radiofonico che non guasta
affatto (la più ruffiana Ain't No Other
Way, che in effetti sfugge di mano). Il vecchio amico Kenny
Aronoff pesta come un ossesso e lascia il segno ai tamburi in qualche
brano, anche se la sezione ritmica è completata da Chris Layton
e Scott Nelson con l'aggiunta di Michael Ramos alle tastiere, mentre
al resto ci pensa la chitarra di Grissom, ovviamente un fulmine di tecnica
e precisione, ma sempre concentrata sulla resa delle canzone.
Certo, il nostro non è ancora un autore fatto e finito, e allora
è quasi obbligato ad inserire un po' di "ginnastica"
strumentale in Sqwawk, Butterbean
Friday e Dover Soul, bluesacci
con un'anima fra swamp rock e texas shuffle di cui avremmo anche fatto
a meno. Non perchè non siano piacevoli all'ascolto, per carità,
ma perchè il Grissom interprete e cantante (una voce non appariscente,
ma efficace) ha da mostrare altri numeri e una consapevolezza del proprio
talento, che vi sfido a cercare soprattutto nel finale. Si tratta degli
episodi più vicini alla musicalità della sua terra: True
Love Don't Work That Way, scritta con Stephen Bruton, è
una ballad elettrica d'impeto, trascinante nella sua classica struttura
country rock, mentre Good Day for the Blues,
complici il violino di Warren Hood e i raddoppi vocali di Carolyn
Wonderland, ci riporta ad una dimensione più tradizionale, acustica
e folk, chiudendo con stile un disco molto positivo, che potrebbe davvero
aprire una nuova strada per questo musicista.
(Davide Albini)
www.davidgrissom.com
www.myspace.com/davidgrissommusic
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